Sacro Monte di Varallo

Il “Gran Teatro Montano”

Visitare e vivere il Sacro Monte è una vera esperienza che non può proprio mancare a quanti scelgano di raggiungere Varallo. Il Sacro Monte è un luogo assolutamente unico nel suo genere, simbolo dell’operosità, della devozione, dell’alta capacità artistica e artigianale delle mani valligiane che gli hanno dato la vita nel corso di quasi quattro secoli.

Quello di Varallo è il più antico dei nove Sacri Monti edificati sulle alpi piemontesi e lombarde. Sorge sulla sommità di uno sperone roccioso immerso tra il verde dei boschi che circondano l’elegante cittadina, considerata la capitale della Valsesia.
Il Sacro Monte si compone di 44 cappelle e una basilica, e appare come una vera e propria cittadella fortificata cinta da mura e caratterizzata da vie, piazze, palazzi e giardini. All’interno delle cappelle statue e dipinti danno forma e voce “qui e ora” al percorso che narra la vita, la passione e la morte di Gesù, dall’Annunciazione all’Assunzione di Maria. Più di ottocento sculture in legno o terracotta a dimensione naturale e più di tremila affreschi formano quello che Giovanni Testori, il poeta del Sacro Monte, chiamerà “Gran Teatro Montano”.

Le origini. Fu il frate francescano Bernardino Caimi, già custode del Santo Sepolcro a Gerusalemme nel 1478, a progettare verso la fine del XV secolo la realizzazione di una “Nuova Gerusalemme” per consentire ai fedeli di vivere la spiritualità del pellegrinaggio in Terrasanta ripercorrendone fedelmente i luoghi simbolici.
Essi dovevano essere corredati da immagini finalizzate ad aiutare il fedele – spettatore ad immedesimarsi nella storia riportata nelle sacre Scritture, in una sorta di esegesi dei Vangeli. La tipologia della predicazione francescana diffusa attraverso i libri di meditazione quattrocenteschi si basava, infatti, sul coinvolgimento emotivo del fedele; la presenza, all’interno delle chiese, di una parete dipinta con scene tratte dai Vangeli come accade, ad esempio, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo, testimonia il valore didattico delle opere d’arte e delle immagini.
Quasi tutte le opere del Sacro Monte sono state create con materiali reperibili in Valsesia e da una gran quantità di artisti ed artigiani valsesiani.
Entro il 1491 erano terminate la costruzione della chiesa e del convento di Santa Maria delle Grazie, realizzati per ospitare i frati francescani giunti al seguito del Caimi e, al Sacro Monte, erano ormai completate la cappella del Santo Sepolcro e la Deposizione. Le strutture successive vennero iniziate tenendo presenti la conformazione della Terrasanta e le planimetrie dei santuari di Palestina.

l Cinquecento. Il progetto edificatorio di padre Caimi trovò felice concretizzazione, a partire dal primo Cinquecento, nelle straordinarie capacità narrative e comunicative di Gaudenzio Ferrari (Valduggia ca. 1476 – Milano 1546), pittore, scultore e architetto. Gaudenzio lavora intensamente al Sacro Monte per circa quindici anni (1513 – 1528); piano piano, però, andava affievolendosi l’idea di riprodurre i sacri luoghi della vita di Gesù in favore di un’illustrazione cronologica della storia che verrà affermata definitivamente nella seconda metà del secolo.

Gaudenzio racconta alcuni episodi del Vangelo conferendo un senso di freschezza, emozione e semplicità quotidiana. Nelle sculture e negli affreschi ritrae personaggi veritieri che ogni fedele avrebbe potuto incontrare passeggiando tra le contrade di Varallo o nei sentieri verso gli alpeggi valsesiani: ne sono esempi meravigliosi il pastore di Rimella, l’anziano senza denti, la zingara con i bambini, il giudeo gozzuto, la nobildonna. I francescani apprezzarono profondamente l’immediatezza espressiva delle opere del maestro poiché attraverso i personaggi, gli ambienti e il senso del viaggio suggerito dalla morfologia del Sacro Monte il racconto si rendeva facilmente comprensibile e credibile. Gaudenzio realizzò quindi, nelle sue cappelle, una sorta di modello narrativo che, nei decenni successivi, verrà intenzionalmente imitato e seguito dai maestri successivi, anche su richiesta della supervisione religiosa.

Nel 1514 vedeva la luce la prima operetta descrittiva del luogo, redatta dai francescani e intitolata “Questi sono li misteri che sono sopra al monte de Varade”, una vera e propria guida alla comprensione e alla visita del complesso in via di edificazione: si tratta di un documento storico di eccezionale valore poiché tratteggia in modo semplice, con piccole preghiere e prosa, la fisionomia del Sacro Monte nel tempo più prossimo alla fondazione di padre Caimi.

La seconda metà del Cinquecento è caratterizzata da una riprogettazione radicale del Sacro Monte ad opera dell’architetto perugino Galeazzo Alessi. Tra il 1565 e il 1569 Alessi prepara un manuale manoscritto, noto come “Libro dei Misteri” oggi conservato presso la Biblioteca Civica di Varallo, nel quale il Sacro Monte viene trasformato in una vera e propria cittadella abbellita da fontane, siepi, giardini e tempietti (non più semplici cappellette). Il progetto alessiano non trova accoglimento da parte dei frati poiché alterava la concezione originaria del luogo; scaturirono, al riguardo, decisi contrasti fra i frati e i rappresentanti delle famiglie nobili e notabili di Varallo, reggenti della fabbriceria laica, che verranno conciliate dall’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, in visita al Sacro Monte tra il 1571 e il 1584, con l’accoglimento di una piccola parte delle modifiche introdotte dal “Libro dei Misteri”.

Il Seicento e il Settecento. È il vescovo di Novara Carlo Bascapè (1593 – 1615) a traghettare il Sacro Monte dal periodo delle riflessioni avviate da san Carlo alle indicazioni dettate dal Concilio di Trento, durante il quale si affrontarono temi cruciali come quello della funzione delle immagini. Il Concilio riconobbe la funzione educativa delle immagini per i fedeli, in gran parte analfabeti, purché esse fossero controllate e verificate: il Bascapè si adopererà attivamente intervenendo per supervisionare e, in qualche caso, correggere le rappresentazioni in via di realizzazione.

Il cantiere dei lavori che si sviluppa nel corso del XVII secolo vedrà nascere un Sacro Monte pressoché identico, negli spazi, a quello che possiamo visitare oggi. Sorsero nuove cappelle, nelle quali operano artisti di fama come il pittore perugino Domenico Alfano, lo scultore fiammingo Giovanni Wespin (“il Tabacchetti”) o Pier Francesco Mazzucchelli detto “il Morazzone”. Soprattutto si assiste all’esordio e all’ascesa di Giovanni D’Enrico (Alagna 1559 – Borgosesia 1644), architetto e scultore, e dei suoi fratelli pittori Melchiorre e Antonio (detto “Tanzio”) nativi di Alagna.
Giovanni, nel rispetto delle linee guida date dal maestro rinascimentale Gaudenzio, è capace di infondere una forte espressività, un senso di teatralità e verità ai suoi soggetti. Opera al Sacro Monte per circa trentacinque anni (1605 – 1640) realizzando più di 335 sculture. A lui si deve l’erezione dell’elegante Palazzo di Pilato completato dalla Scala Santa, costruita a imitazione di quella della chiesa di San Giovanni in Laterano a Roma. Proprio durante questa edificazione l’équipe dei D’Enrico si completa con l’arrivo di Tanzio che eseguirà gli affreschi in tre cappelle della Passione: il suo stile, di un verismo vigoroso, si coniuga a un’indagine cruda della miseria umana e dimostra un’inclinazione verso il caravaggismo e il secondo manierismo lombardo-piemontese caratteristico dei contemporanei lombardi (Cerano, Morazzone, Procaccini)

Nel 1614 inizia la costruzione della nuova basilica, dedicata a Maria Vergine Assunta, progettata da Bartolomeo Ravelli e Giovanni d’Enrico, che sarà terminata nel 1713. Il corso del secolo XIX vede lo sviluppo di cantieri come la costruzione di Casa Parella e la definizione di altre cappelle.
Contemporaneamente, Varallo si trasforma in uno dei centri culturali e di formazione di maggiore importanza del Regno di Sardegna e viene fondata la Scuola di Disegno (1778) dove numerosi artisti attivi al Sacro Monte insegnano alle nuove generazioni la produzione d’arte unitamente al restauro delle opere dei predecessori.

Commenti (11)

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