Erano molti anni che mancavo da Napoli.
Il viaggio: Italo. passaggio gratuito dalla II alla I classe. Molto gentili gli addetti, che sono – nella tratta da Milano – passati con il carrello caffe’ e bibite tre volte. Comodi i sedili e abbastanza lento il collegamento WiFi. Durata quasi 5 h.
Impressioni: mi ha nuovamente colpito la spontanea gentilezza da parte di ogni passante a cui chiedevi un’informazione.
Taxi facile trovarne e a tariffe, per percorrenze medie, intorno ai 10€.
Osservato con meraviglia la cura con cui sono stati ristrutturati i principali palazzi di via dei Mille e dintorni.
Molto bene la pedonalizzazione da via Toledo a via Calabritto.
Prima solo i posteggiatori ti davano del “dottore”. Ora la cosa si e’ estesa a tutti coloro con cui entri in contatto.
Pernottamenti: presso B&B il Ventre di Napoli in via Broggia ( circa 90 € al giorno, inclusa tassa soggiorno). Stanza molto pulita e letto comodo. Unico inconveniente il rumore del traffico, nonostante ci sia una doppia finestra. Ubicazione a ridosso del Museo e quindi vicino al metro’ e a molti punti d’interesse. Colazione presso un bar esterno.
Principali visite:
Il Cristo Velato, Cappella di San Severo via Francesco de Sanctis 19/21.
E’ una scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino, conservata nella cappella Sansevero di Napoli.
L’opera, realizzata nel 1753, è considerata uno dei maggiori capolavori scultorei mondiali, ed ebbe tra i suoi estimatori Antonio Canova che, avendo tentato – senza successo – di acquistare l’opera, dichiarò che sarebbe stato disposto a dare dieci anni della propria vita pur di essere l’autore di un simile capolavoro.
A Giuseppe Sanmartinoi venne affidato l’incarico di produrre «una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua» Sanmartino realizzò quindi un’opera dove il Cristo morto, sdraiato su un materasso, viene ricoperto da un velo che aderisce perfettamente alle sue forme. La maestria dello scultore napoletano sta nell’esser riuscito a trasmettere la sofferenza che il Cristo ha provato, attraverso la composizione del velo, dal quale si intravedono i segni sul viso e sul corpo del martirio subito. Ai piedi della scultura, infine, l’artista scolpisce anche gli strumenti del suddetto supplizio: la corona di spine, una tenaglia e dei chiodi.
Monastero di Santa Chiara
Si tratta della più grande basilica gotica della città, caratterizzata da un monastero che comprende quattro chiostri monumentali, gli scavi archeologici nell’area circostante e diverse altre sale nelle quali è ospitato l’omonimo Museo dell’Opera, che a sua volta comprende nella visita anche il coro delle monache, con resti di affreschi di Giotto, un grande refettorio, la sacrestia ed altri ambienti basilicali.
Stazione Metropolitana di Toledo
La stazione “Toledo” della Metro 1 di Napoli, il gioiello firmato dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, è stata inserita al primo posto di una speciale classifica dedicata alle stazioni di metropolitana più belle d’Europa.
Non è il primo primato per la stazione di Toledo, che già nel 2012 era stata giudicata dal The Daily Telegraph come la migliore europea. Oggi la conferma del primato estetico da parte del prestigioso network statunitense Cnn, che ne ha apprezzato i motivi incentrati sull’acqua e la luce e l’installazione luminosa di Robert Wilson “”Light Panels” posizionata nei corridoi.
Inaugurata nel 2012, la stazione Toledo è profonda 50 metri. Come precisa la Cnn, ‘ha dei rivali’: fa parte infatti della serie “Stazioni dell’arte”, che ha coinvolto nella città partenopea anche altri nomi illustri come Alessandro Mendini e Gae Aulenti.
Purgatorio ad Arco. La chiesa delle anime pezzentelle
E’ una chiesa barocca[1] di Napoli situata su via dei Tribunali, nel centro antico della città. Fu eretta nel 1616 su un progetto di Giovanni Cola di Franco e di Giovan Giacomo Di Conforto su commissione di diverse famiglie nobili napoletane e con l’obiettivo di realizzare un luogo di sepoltura per le persone povere della città, senza famiglia e senza casa.
L’antico culto delle anime del Purgatorio, custodito da secoli nell’Ipogeo della seicentesca Chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco, sorse spontaneamente, agli inizi del 1600, quando la nuova chiesa controriformata propose la cura delle anime dei defunti come una delle principali pratiche religiose per stabilire, attraverso preghiere e messe in suffragio, un legame liturgico tra vivi e trapassati.
Il culto delle anime era stato ampiamente sostenuto dalla chiesa cattolica che identificava in esso un modo per raccogliere offerte ed elargizioni tanto che era diventato obbligo di ogni buon credente preoccuparsi di lasciare un testamento che indicasse la cadenza di messe e preghiere in suffragio del defunto. I vivi, come mezzo per espiare i peccati terreni, si preoccupavano di favorire l’ascesa delle anime in Paradiso e di assicurare loro il refrigerio dalle fiamme del Purgatorio durante il periodo di tribolazione.
Ma a Napoli la relazione diretta con l’anima va oltre, scavalca il limite del tempo della vita e penetra in quello che oltrepassa la vita attraverso rituali dove la pietas popolare mostra tutta le sue più profonde sfaccettature. Oggetto di culto diventano le anime anonime, quelle abbandonate e senza nome, quelle i cui corpi, che non avevano beneficiato dei riti di compianto, venivano sepolti nelle fosse comuni. Il rapporto si stabilisce attraverso l’adozione di un teschio, che secondo la tradizione è sede dell’anima, che viene scelto, curato, accudito e ospitato in apposite nicchie. L’anima pezzentella ( dal latino petere: chiedere per ottenere), anima anonima o abbandonata, invoca il refrisco, l’alleviamento della pena, e colui che l’ha adottata, la persona in vita, a lei chiede grazia e assistenza.
Da un tempo senza tempo la pietà popolare si prende cura di crani senza nome identificandoli con le anime del Purgatorio, anime il cui abbandono continuerebbe anche nell’altra vita se non fosse per le cure pietose dei devoti. Nell’ipogeo del Complesso del Purgatorio ad Arco, scarabattoli, nicchie, piccoli altarini, raccontano una storia antica, dove si mescolano fede, preghiere e speranze. Lumini, fiori, rosari, piccoli oggetti, messaggi scritti e riposti tra le pieghe dei cuscini dove riposano i teschi, testimoniano la cura, l’amore e la fiducia riposta in queste anime antiche; tra queste, quella di Lucia, è l’anima più amata. Il teschio col velo da sposa, ornato di una preziosa corona, è custodito accanto ad una coppia di teschi che, nell’immaginario popolare, rappresentano i servitori della giovane, una principessa morta giovanissima subito dopo le nozze. A quest’anima la tradizione popolare ha dedicato un complesso altarino eleggendola protettrice delle spose e mediatrice per preghiere e invocazioni.
L’antico culto, sopravvissuto a guerre e carestie, si manifesta nel tempo in tutta la sua intensità, tanto che nel 1969 il Cardinale Ursi lo vieta perché era oramai troppo diffuso il ricorrere a resti anonimi, piuttosto che ai santi. Ancor oggi il rapporto di reciproco ausilio non si interrompe mai ne’ di notte ne’ di giorno: le grate che mettono in comunicazione la strada e l’ipogeo consentono alle voci, ai lamenti, alle preghiere di raggiungere in qualsiasi momento il teschio che gode della protezione, mentre un pensiero, un fiore, un lumino acceso, sostengono nella dura lotta per il Paradiso le anime del Purgatorio generosamente accolte nel vasto Ipogeo della chiesa.
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