Archivio mensile: Giugno 2019

Ristorante panoramico

Osteria dei Bracconieri Brunate (C0)

Il locale e’ sito vicino al capolinea della funicolare Como-Brunate.
Riusciamo a prenotate un tavolo con una spendida vista sul lago. Aderiamo al suggerimento del proprietario e scrgliamo un ‘ottimo ragu’ di cervo con polenta,innaffiandolo con juna bottiglia di Brolio. Delizioso il dessert di panna cotta al caramello. Molto accurato il servizio da pasrte della famiglia del titolare.
Conto sui 40 € a persona.

Vedi Napoli e poi muori Parte VII

Il Gran Caffè Gambrinus è un locale storico di Napoli ubicato in via Chiaia. Il suo nome deriva dal mitologico re delle Fiandre Joannus Primus, considerato patrono della birra. Il Gran Caffè Gambrinus rientra fra i primi dieci Caffè d’Italia e fa parte dell’Associazione Locali Storici d’Italia.
Arredato in stile Liberty, conserva al suo interno stucchi, statue e quadri della fine dell’Ottocento realizzate da artisti napoletani. Tra queste vi sono anche opere di Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti.
Fondato nel 1860, dall’imprenditore Vincenzo Apuzzo, riscosse immediatamente un enorme successo e riscontro da parte della popolazione di ogni ceto, richiamata dall’opera di pasticceri, gelatai, e baristi, di cui si avvalse il suo fondatore; ciò, nello stesso tempo, gli procurò il riconoscimento per decreto di “Fornitore della Real Casa”.
Dopo Apuzzo la gestione passò a Mario Vacca che negli anni 1889-1890, affidata la decorazione degli interni all’architetto Antonio Curri, per affrescare il locale chiamò i artisti impressionisti napoletani: Luca Postiglione, Pietro Scoppetta, Vincenzo Volpe, Edoardo Matania, Attilio Pratella, Giuseppe Alberto Cocco, Giuseppe Casciaro, Luigi Fabron, Giuseppe Chiarolanza, Gaetano Esposito, Vincenzo Migliaro, Vincenzo Irolli e Vincenzo Caprile.

Il caffè sospeso
Al Gran Caffè Gambrinus è nata, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la pratica del caffè sospeso che consiste nel lasciare un caffè pagato per le persone povere che non possono acquistarlo e concedersi il piacere di un caffè. Tale tradizione si è rinnovata in tempi di crisi proprio nel luogo in cui è nata. All’ingresso del Bar ancora oggi è posizionata una caffettiera gigante in cui si possono lasciare gli scontrini “sospesi” (lasciati appunto dai clienti) in favore

 

Tentativo di borseggio

A conclusione di questo tour partenopeo, mi e’ successo verso le undici di mattina in metro’ che due compari hanno tentato di alleggerirmi del portafoglio. Inizialmente ho notato un curvo e piccolo sessantenne magro che mi girava intorno insistentemente. Ebbene in prossimita’ della fermata in cui avrei dovuto scendere, c’e’ stato un complice di oltre 1.90  cm che mi ha offerto il braccio per appoggiarmi. In sostanza mi avrebbe immobilizzato ed il compare avrebbe tentato di alleggerirmi. Mi sono divincolato, appoggiandomi al braccio di mia moglie e cio’ ha fatto desistere I due compari dal tentative di furto..

 

Vedi Napoli e poi muori…Parte VI

Il cimitero delle Fontanelle (in napoletano ‘e Funtanelle) è un antico cimitero della città di Napoli, situato in via Fontanelle. Chiamato in questo modo per la presenza in tempi remoti di fonti d’acqua, il cimitero accoglie circa 40.000 rest di persone, vittime della grande peste del 1656 e del colera del 1836.
Il cimitero è noto anche perché vi si svolgeva un particolare rito, detto il rito delle “anime pezzentelle”, che prevedeva l’adozione e la sistemazione in cambio di protezione di un cranio (detta «capuzzella»), al quale corrispondeva un’anima abbandonata (detta perciò «pezzentella»).

 

I

Il Palazzo Reale di Napoli è un edificio storico ubicato in piazza del Plebiscito, nel centro storico di Napoli, dov’è posto l’ingresso principale: l’intero complesso, compresi i giardini e il teatro San Carlo, si affaccia anche su piazza Trieste e Trento, piazza del Municipio e via Acton.
Fu la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre centocinquanta anni, della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, interrotta solamente per un decennio all’inizio del XIX secolo dal dominio francese con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, e, a seguito dell’Unità d’Italia, dei Savoia[2]: ceduto nel 1919 da Vittorio Emanuele III di Savoia al demanio statale, è adibito principalmente a polo museale, in particolare gli Appartamenti Reali, ed è sede della biblioteca nazionale.
Il Palazzo Reale è stato costruito a partire dal 1600, per raggiungere il suo aspetto definitivo nel 1858: alla sua edificazione e ai relativi lavori di restauro hanno partecipato numerosi architetti come Domenico Fontana, Gaetano Genovese, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Sanfelice e Francesco Antonio Picchiatti.

 

 

 

 

 

La storia delle statue del Palazzo Reale
Chi ha fatto pipì per terra?”
“Io non ne so niente”
“Sono stato io, e allora?”
Sguainando la spada: “Eviriamolo!”
No, non è la sceneggiatura di un film comico, ma la storiella che è stata affibbiata alle statue che compaiono nelle nicchie del Palazzo Reale di Napoli. Un modo anche per ricordare, in maniera simpatica, i nomi che rappresentano, rispettivamente Carlo V d’Asburgo, Carlo III, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II; all’appello, in questo discorso, mancano le altre 4 personalità che compaiono dalla sinistra, cioè quelle di Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò e Alfonso V d’Aragona: ognuna, insomma, è chiamata ad identificare un sovrano e, degli 8 che compaiono, 7 sono stati proprio sul trono della città partenopea.

 

 

 

 

Una genovese da favola

Sulla strada per giungere al Cimitero delle Fontanelle, ci imbattiamo in questa trattoria.
Inizialmente Rita, forse la figlia del prorpietario, ci consiglia dei “pizzicotti” ovvero bocconcini ripoieni di pizza con ripiieni vari.
Quindi proviamo questa genevese davvero eccezionale ed assaggio anche una pasta e patate.
Infine una polpetta e salciccia alla brace.
Qui rivive la vera tradizione napoletana. Un applauso alla Rita che fa trasparire una genuina passione nel mettere i clienti a proprio agio.

https://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g187785-d1699830-r679206051-Cantina_del_Gallo-Naples_Province_of_Naples_Campania.html#

Vedi Napoli e poi muori Parte V

Caravaggio a Napoli presso il Museo di Capodimonte

Flagellazione di Cristo 1610

Salome’ con la testa del Battista 1610

San Giovanni Battista 1613

La Terzaghi ha ben spiegato i motivi della mostra e cioè innanzitutto la necessità di focalizzare l’attenzione sui 18 mesi di Caravaggio a Napoli. Il suo arrivo è documentato il 6 ottobre del 1606 e resta fino alla fine di giugno del 1607 , poi parte per Malta non credendo di restarci a lungo ma una serie di vicende lo trattengono e torna a Napoli solo nell’autunno del 1609. Trascorre in città i sei mesi che sono la fase più tragica della sua vita. Sappiamo della sua aggressione all’osteria del Cerriglio e da allora è un uomo doppiamente braccato: prima scappa dalla pena capitale la prima volta e poi pensa che da Malta i cavalieri gli vogliano fare del male. Aome cambia la sua pittura rispetto al contesto romano. Innanzitutto il suo soggiorno napoletano è caratterizzato dal suo rapporto stringente con il contesto locale. Non ha una sua bottega e si appoggia nella bottega di Finson e Vinck che erano due artisti fiamminghi allocati dal 1605 in zona dell’attuale piazza Carità. Sono loro che gli prestano delle tavole per dipingere. Per esempio il David di Vienna è fatto su una tavola di riuso.

Personaggio dal grande talento, Caravaggio, nella sua breve vita (morì a 39 anni), visse per due volte a Napoli sia nel 1606, quando vi rimase per un anno ai Quartieri Spagnoli, sia nell’ultimo periodo della sua attività, nel 1609, quando ritornò a Napoli rimanendovi fino al 1610 .

I suoi quadri sono stati realizzati tra il 1592 (prima opera conosciuta – “Ragazzo che monda un frutto” – conservata a Firenze) e il 1610 (ultima opera conosciuta – “Martirio di Sant’Orsola”, realizzata e conservata a Napoli) poche settimane prima della sua drammatica morte avvenuta a Porto Ercole. Tante delle sue magnifiche opere sono state realizzate in città nei due periodi in cui l’artista vi ha vissuto.

Le ceramiche al museo di Capodimonte

Real fabbrica di Capodimonte

Nel 1743 a Napoli, nei primi anni della nuova dinastia borbonica, il re Carlo e sua moglie, la regina Maria Amalia di Sassonia fondano all’interno della famosa Reggia di Capodimonte, oggi Museo, la Real Fabbrica dando inizio ad una tradizione che non è mai finita.[3] Tra i loro principali collaboratori si annoverarono il chimico belga Livio Ottavio Schepers e il decoratore piacentino Giovanni Caselli.

La porcellana che si produce in questa zona ha delle caratteristiche peculiari che la distinguono dalla porcellana nord europea. Nel sud Italia, infatti, non c’è il caolino; pertanto l’impasto si compone di una fusione di varie argille provenienti dalla cave del sud miste al feldspato. Ne deriva un impasto tenero dal colorato latteo, che renderà questa manifattura unica nella storia della porcellana.

La porcellana “tenera” infatti, durante la cottura si ritira di circa il 20%, e se da una parte si perdono dovizie di dettagli tipici della porcellana nord europea dall’altra ritroviamo uno stile inconfondibile pervaso da un’armonia strutturale naturalista.

Le figure di spicco in quegli anni sono lo scultore Giuseppe Gricci, il Giovanni Caselli ed il chimico Livio Vittorio Schepers che perfezionò la composizione dell’impasto.

La massima espressione dell’abilità plastica e pittorica degli artisti di Capodimonte è il Salottino di porcellana creato dallo scultore Giuseppe Gricci per la regina Amalia.

 

Mainifatture di Meissen

dal 1710 ad oggi

Museo di Capodimonte altre sale

Susanna e i vecchioni Andrea Malinconico 1660

Figura di Donna Antonio Petroni 1888