Archivio mensile: Febbraio 2021

Pomeriggi Musicali Dal Verme 06/2/2021

Maestri della sintesi
Stravinskij, Dumbarton Oaks
Kodaly, Nyáry Este (Sera d’estate)
Mozart, Sinfonia n. 41 in do magg. K 551 “Jupiter”

Direttore: Ryan McAdams
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Igor Stravinskij (1882-1971)
Concerto in Mi bemolle maggiore “Dumbarton Oaks”

I: Tempo giusto
II: Allegretto
III: Con moto

Zoltan Kodály (1882-1967)
Nyáry este (Sera d’estate) IZK 28

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sinfonia n.41 in do maggiore, K551 “Jupiter”

I: Allegro vivace
II: Andante cantabile
III: Menuetto: Allegro
IV: Molto allegro


Maestri della sintesi

Due dei tre lavori in programma, opera di figure chiave della nostra civiltà musicale, Mozart e Stravinskij, si prefiggono un obiettivo ambizioso: una riflessione sull’identità culturale della musica europea. Entrambi mettono infatti a confronto la parola del singolo con la tradizione da cui questi deriva, facendo così emergere tutta l’individualità di scrittura e il mondo espressivo di questi grandi autori. Commissionato dai mecenati Robert e Mildred Woods Bliss per celebrare il 30° di matrimonio, il Concerto in Mi bemolle maggiore per orchestra da camera – composto in Francia nel 1937/38 e diretto a Washington l’8 maggio 1938 da Nadia Boulanger (con l’Autore in Europa a curare la tubercolosi) – prende il nome dalla tenuta della coppia, Dumbarton Oaks, Distretto di Columbia, dove Stravinskij era stato ospite. Non è però la natura il riferimento fondamentale bensì la storia della musica: in particolare i Concerti brandeburghesi di Bach, di cui la partitura moderna vuole costituire un omaggio e un omologo. Lo denunciano lo spirito cameristico e concertante, sin dalla selezione di 15 strumenti (3 legni, 2 corni e 10 archi) che richiama la concezione della raccolta bachiana, intitolata in origine «concerts avec plusieurs instruments»; la sonorità primosettecentesca (sola eccezione il clarinetto); la ripresa, già praticata da Hindemith, dell’inesorabile meccanismo motorio dei tempi estremi; l’adozione, sin dall’attacco, dell’euforico ritmo anapestico (due brevi in levare, una lunga accentuata in battere), in Bach simbolo festivo. Non ne discende un pastiche né a un falso, bensì una partitura originale in cui, sulla scorta dell’estetica neoclassica discussa nel concerto del 14/16 gennaio per Pulcinella, il conflitto tra antico e moderno risulta in un sapore asprigno, convivenza paradossale e vitalissima di linee melodiche aguzze, contrasti metrici, accenti fuori sede: insomma, un’«asprezza cubista» (Giorgio Pestelli). Non manca lo spazio, come spesso in Stravinskij, per l’umorismo, la cui sede parrebbe l’Allegretto centrale, che nel disegno melodico esitante sembra rievocare un memorabile motto verdiano («Se Falstaff s’assottiglia»).

Fa invece i conti con l’espressione in presa diretta del sentimento il poema sinfonico Sera d’estate di Zoltán Kodály, scritto a 23 anni e presentato il 22 ottobre 1906 a Budapest. Debutto del compositore, poi anche grande etnomusicologo e didatta, nell’agone sinfonico, gli ottenne una borsa di studio per proseguire gli studi all’estero. Accantonato, venne ripreso nel 1929, quando fu rivisto dall’autore e dedicato a Toscanini, che lo diresse nel 1930 con la New York Philarmonic Orchestra. Kodály ne parlava, laconicamente, così: «Il titolo significa soltanto che il lavoro è stato concepito nelle sere d’estate, tra i campi di grano tagliato di recente, ascoltando il mormorio delle onde dell’Adriatico». Un ritratto dell’io dell’artista, dunque, più che non del paesaggio circostante. Composto in forma sonata, con classico senso dell’equilibrio, per un’orchestra ridotta, in una scrittura tardoromantica che accoglie elementi folklorici pentatonici estranei al sistema tonale, spalanca uno spazio sonoro evocativo già dall’apertura affidata alla melopea incantatoria del corno inglese, voce che rimarrà, con il flauto e tutta la sezione dei legni, costantemente in primo piano.

Non occorre il nomignolo di “Jupiter”, forse coniato dall’impresario Johann Peter Salomon, per individuare nell’ultima sinfonia mozartiana, completata il 10 agosto 1788, il valore di summa di un’intera esperienza compositiva, l’estremo contributo, benché a tre anni e 80 numeri di catalogo dalla scomparsa del compositore, al genere che Beethoven avrebbe consacrato come il più illustre della musica assoluta. Sintesi suprema di esperienze musicali, culturali ed esistenziali, la Jupiter lo è in sommo grado, con la sua perfetta convivenza di solenne e intimo, serio e faceto, dotto e cordiale, in un organismo che cela miracolosamente le giunture al punto da convincere l’ascoltatore che il fluire d’un linguaggio nel suo opposto sia naturale (anzi naturalissimo, chioserebbe Figaro). Si considerino solo due esempi: l’insinuarsi a sorpresa, nel grandioso I tempo (il cui assertivo attacco all’unisono è esaltato dalle terzine di semicrome ascoltate nello scorso concerto nella Sinfonia K. 318), di un petulante terzo tema, non indispensabile eppure poi fondamentale nello sviluppo e nella coda, tratto dall’aria per basso Un bacio di mano K. 541 che Mozart aveva scritto per l’opera buffa di Anfossi Le gelosie fortunate, in scena quell’anno a Vienna. La citazione, corrispondente ai versi «Voi siete un po’ tondo, / mio caro Pompeo; / l’usanze del mondo / andate a studiar», fa precipitare il livello stilistico, animando in compenso l’ambiziosa architettura sinfonica col bonario cicaleccio del teatro giocoso più alla moda: quasi l’irruzione, scrive Carli Ballola, d’«un Eros fanciullo sorpreso a strappare le penne dell’aquila» di Giove. All’altro capo della sinfonia, il tema che inaugura il Finale risale per li rami a un antico soggetto gregoriano, dal Magnificat del terzo tono, impiegato per secoli, anche da Mozart (nel Credo della Missa brevis K. 192), che qui lo colloca alla base di un tempo sì in forma sonata, ma innervato, tramite il ricorso ai procedimenti della fuga, d’un tale tasso di polifonia da proporre la combinazione in contrappunto multiplo di ben cinque idee tematiche, in una sintesi inedita tra aggiornato linguaggio sonatistico e antico e venerando magistero polifonico. Con la Jupiter Mozart non ci offre però solo un capolavoro di abbacinante, mirabile ingegneria compositiva risultante in una «grandiosa apoteosi, paragonabile a un vertiginoso trionfo tiepolesco» (Massimo Mila), ma eleva un messaggio tutto interiore di serena, olimpica utopia che trascende le sofferenze umane: il messaggio che troverà nel Flauto magico, sul limitare della morte, il sigillo definitivo.

Ryan McAdams
direttore d’orchestra

Ryan McAdams si sta velocemente affermando come uno dei direttori più versatili ed interessanti della sua generazione. Ugualmente apprezzato come direttore sinfonico, operistico e di musica contemporanea, nella stagione 2019/20 è tornato a collaborare con il Ravello Festival e con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. Nell’autunno 2019, ha diretto la produzione di Les pêcheurs de perles per il Teatro Regio di Torino. Nella stagione 2020/21 dirigerà in Italia la Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, di nuovo l’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI e l’Orchestra Sinfonica Siciliana di Palermo. Grande sostenitore della musica contemporanea, Ryan McAdams è stato il direttore d’orchestra per il 103° anniversario della nascita di Elliott Carter al 92Y con Fred Sherry e Nicholas Phan – un concerto che è stato menzionato come uno dei migliori eventi di musica classica del 2011 dal New York Times; ha inoltre diretto in Irlanda la première dell’opera Il Secondo Violinista di Donnacha Dennehy, prima di portare la produzione al Barbican di Londra. Ryan McAdams ha studiato alla Juilliard School e all’Indiana University. È stato il primo vincitore assoluto del Sir George Solti Award come miglior direttore d’orchestra emergente e dell’Aspen-Glimmerglass Prize nella sezione operistica

Una eccellenza nella ristorazione milanese

VIVA Viviana Varese Ristorante

Piazza 25 Aprile, 10 | Eataly Milano, 20121 Milano, Italia (Nome precedente: Alice Ristorante).

Finalmente siamo riusciti a usufruire di un voucher, regalatoci per un compleanno.

Il locale e’ sito al 2p. di Eatitaly e dai tavoli si gode una bella vista sulla piazza. Gran cura ai particolari : tavoli rotondi per favorire la conversazione, ottimo servizio assicurato da giovani ragazze provenienti da istituti alberghieri. Gran cura nella composizione del menu’ degustazione., che dura circa 2 ore e mezzo.

Decisamente ottimi i vini a partire da un prosecco Franciacorta ad un bianco Etneo ed infine un rosso ( 14,5%).

Sorprende la posizione su Tripadvosor  al 190 posto su 6688 ristoranti a Milano. Insomma una stella Michelin che, a mio avviso. sottostima questo ottimo ristorante.

Europa,volti di una tradiziione

Pomeriggi Musicali Dal Vermo 30 gennaio 2021

Il genio in erba
Rossini, Sinfonia in Re maggiore “Del Conventello” per orchestra
R. Strauss, Concerto per violino op. 8
Bizet, Sinfonia in do maggiore GB 115

Direttore: Carlo Boccadoro
Violino: Pavel Berman
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Gioachino Rossini (1792 – 1868)
Sinfonia in Re maggiore “Del Conventello” per orchestra

Richard  Strauss (1864-1949)
Concerto per violino op.8
I: Allegro
II: Lento, ma non troppo
III: Rondo: Presto

Georges Bizet (1838-1875)
Sinfonia in do maggiore GB 115
I: Allegro vivo
II: Adagio
III: Menuetto
IV: Allegro vivace


Il genio in erba

La musica oggi in programma è un ritratto della gioventù, composta com’è da due promettenti diciassettenni e da un terzo autore comunque assai giovane. Pur essendone allora ignari, erano tutti avviati verso un futuro luminoso, le cui tracce siamo invitati a cercare in queste brillanti prove giovanili.

Diciassette anni aveva Richard Strauss quando, nel 1881, mise mano al Concerto per violino in re minore op. 8. Ancora studente a Monaco, nel capoluogo bavarese aveva ottenuto quell’anno i primi riconoscimenti pubblici, con l’esecuzione in sedi prestigiose del Quartetto in La maggiore e della Sinfonia in re minore. Trascorsa parte dell’estate 1882 a Bayreuth con il padre, primo corno al debutto del Parsifal, il 5 dicembre di quell’anno il compositore in erba presentava la sua nuova creatura a Vienna, dove si trovava per una tournée, accompagnando al pianoforte il dedicatario del concerto, Benno Walter, in una riduzione per violino e pianoforte in cui, secondo gli usi dell’epoca, il concerto ebbe una buona circolazione. Favorevolissima, d’altra parte, fu l’accoglienza della stessa “prima” viennese, in occasione della quale il severo critico Eduard Hanslick indicò nel ragazzo «un talento poco ordinario». Naturalmente la scrittura del giovane Strauss – il futuro autore dei poemi sinfonici, sommo operista e liederista – reclama però la grande orchestra romantica, come dichiara sin dall’attacco l’articolata introduzione all’Allegro d’apertura di questa partitura imponente. Analogamente al Concerto per violino, anch’esso in re minore, composto dal tredicenne Mendelssohn esattamente sessant’anni prima (lo si ascolterà il 4 e 6 marzo), si tratta del saggio sontuoso di un talento straordinario che si esprime sul terreno della grande forma, navigando opportunamente lungo la costa, al riparo dei modelli su cui si è formato. In questo caso i modelli, per lo studente cresciuto alla scuola classicista monacense (l’incontro con Wagner non è all’epoca ancora avvenuto), i modelli non possono essere che classici e, tra i romantici, i “classicisti” Mendelssohn, quello del Concerto maggiore per violino, l’op. 64 (anch’esso in programma il 4 e 6 marzo), e Brahms. Nella tonalità in cui aveva già composto nel 1880 la citata Sinfonia, il diciassettenne Strauss costruisce la vasta architettura d’un concerto a regola d’arte, che contempera la grandiosità dell’Allegro, il quieto lirismo del Lento ma non troppo in sol minore e l’estroverso, brillante virtuosismo del Rondò. Prestissimo.

Bizet compose la Sinfonia in Do maggiore a Parigi nell’autunno 1855, all’indomani del diciassettesimo compleanno e pochi mesi dopo la “prima” all’Opéra dei Vespri siciliani. Non il romanticismo verdiano è però il riferimento del talento in erba, bensì il mondo sonoro del classicismo viennese, filtrato attraverso Mendelssohn e Gounod, di cui Bizet aveva appena trascritto la Sinfonia in Re maggiore. Rimasto inedito e ignoto fino al 1935, il lavoro nulla ha dell’esercizio in un sinfonismo che Bizet percepiva come poco congeniale: è piuttosto un gioiello di romanticismo aurorale, d’un protoromanticismo ignaro di tensioni insolubili, ingenuo in senso schilleriano: una “voce” che potrà ricordare quella di Schubert, con cui non ha relazioni se non, fondamentale, la derivazione dai classici. La frequentazione con Haydn Mozart e Beethoven è evidente nel I tempo (si notino in tutta la sinfonia le indicazioni agogiche, volte alla massima brillantezza, Allegro vivo o vivace, compensate dal lirismo dell’Adagio), un condensato d’energia caratterizzato da un tema perentorio dominato da una formula ritmica poi pervasiva (alla Beethoven, tre note appena), che assicura uno slancio controbilanciato dall’alata cantabilità del II tema. Dal suggestivo, indugiante avvio dell’Adagio sboccia la melopea dell’oboe, le cui inflessioni esotiche lasciano brevemente il campo a un più franco élan romantico, prima che s’inneschi un fugato a quattro voci su un soggetto scherzoso, parente nel profilo melodico del I tema dell’Allegro vivo d’apertura. Si apprezzi, nella mirabile ingegneria di questa costruzione equilibratissima (parto “ingenuo” dell’efebo, ma al contempo architettura sonora sapientissima), l’adozione di strategie che compensino la tensione verso quel parossismo energetico che infiammerà la Carmen vent’anni esatti più tardi: andranno interpretate in questo senso la presenza, nello Scherzo (Allegro vivace), di un’ampia melodia ai violini da eseguirsi piano con molta espressione; il pesante bordone di viole e violoncelli su cui il clarinetto, il corno e poi l’oboe intrecciano un rustico Ländler nel Trio dello stesso Scherzo; infine, l’affiorare, in quel meccanismo a tamburo battente che è l’Allegro vivace conclusivo, d’un tema cantabile dall’afflato lirico.

Raffaele Mellace

Carlo Boccadoro

Carlo Boccadoro
Carlo Boccadoro ha studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dove si è diplomato in Pianoforte e Strumenti a Percussione. Nello stesso istituto ha studiato Composizione con diversi insegnanti, tra i quali Paolo Arata, Bruno Cerchio, Ivan Fedele e Marco Tutino. Dal 1990 la sua musica è presente in importanti stagioni concertistiche e sale da concerto tra cui: Teatro alla Scala, Biennale di Venezia, Bang On A Can Marathon di New York, Orchestra Filarmonica della Scala, Gewandhaus di Lipsia, Aspen Music Festival, Monday Evening Concerts (Los Angeles), Detroit Symphony Orchestra, Musikverein di Vienna, Salle Pleyel di Parigi, Teatro La Fenice di Venezia, Barbican Centre di Londra, Alte Oper di Francoforte, Festival di Lucerna, Concertgebouw di Amsterdam, National Concert Hall Dublin, Royal Academy di Glasgow, Maggio Musicale Fiorentino, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Filarmonica ‘900 del Regio di Torino, I Pomeriggi Musicali, Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, Arena di Verona, Festival MITO, Unione Musicale di Torino; Mittelfest di Cividale del Friuli; Tiroler Festpiel; Società del Quartetto di Milano, Festival Bolzano Danza, Settimane Musicali di Stresa; Teatro Comunale di Bologna; Ferrara Musica, Aterforum, Orchestra Arturo Toscanini dell’Emilia Romagna, Teatro Regio di Parma; Orchestra della Toscana; Cantiere Internazionale D’Arte di Montepulciano; Accademia Filarmonica Romana; RomaEuropa Festival, Teatro Massimo di Palermo; Teatro Comunale di Cagliari, e molti altri. Ha collaborato con artisti provenienti da mondi molto diversi, tra i quali Riccardo Chailly, Omer Meir Wellber, Gianandrea Noseda, John Axelrod, Franco Battiato, Luca Ronconi, Gavin Bryars, David Lang, Enrico Dindo, Lu Ja, Antonio Ballista, Donald Crockett, James MacMillan, Vicky Ray, Evan Ziporyn, Bruno Canino, Marcello Panni, Eugenio Finardi, Domenico Nordio, Mario Brunello, Enzo Cucchi, Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia, Federico Maria Sardelli, Giovanni Mancuso, Giuseppe Albanese, il duo Pepicelli, Roberto Prosseda, Claudio Bisio, Moni Ovadia, Andrea Lucchesini, Ars Ludi, Bruno Casoni, Danilo Rossi, Emanuele Segre, Fabrizio Meloni, Valerio Magrelli, Giovanni Sollima, Pietro De Maria, Lina Sastri, Abdullah Ibrahim, Jim Hall, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Mauro Negri, Paolo Birro, Bebo Ferra, Glauco Venier, Roberto Dani, Andrea Dulbecco, Paolino Dalla Porta, Emanuele Cisi, Furio Di Castri, Chris Collins. Nel 2001 è stato selezionato dalla Rai per partecipare alla Tribuna Internazionale dei Compositori dell’UNESCO a Parigi. Nel 2004 Luciano Berio gli ha commissionato, per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’opera per ragazzi La nave a tre piani, eseguita all’Auditorium di Roma diretta dall’Autore stesso nel 2005 e successivamente ripresa lo stesso anno dal Teatro Regio di Torino. Ha inoltre scritto altre quattro opere da camera: A qualcuno piace tango (eseguita a Torino, Milano, Palermo, Montepulciano, Narni, Terni, Amelia) Robinson (eseguita a Terni, Narni, Amelia, Torino e Napoli), Cappuccetto rosso (Modena) e Boletus (Terni). È tra i fondatori del progetto culturale Sentieri selvaggi, che comprende un Festival al Teatro Elfo Puccini di Milano e un Ensemble di cui è direttore artistico e musicale. Svolge anche attività come direttore d’orchestra: ha diretto l’Orchestra del Teatro alla Scala, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, la Royal Philarmonic Orchestra, I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, l’Orchestra della Toscana, L’Orchestra del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona e altre ancora. Diverse sue composizioni sono state registrate su etichette discografiche come EMI Classics, Sony Classical, Ricordi, Warner Classics, Canteloupe Music, Agorà, Velut Luna, Materiali Sonori, Sensible Records, Phoenix Classics.


Pavel Berman
violino

Nato a Mosca, vi frequenta il Conservatorio Tchaikovsky. Attira l’attenzione internazionale molto giovane, vincendo nel 1990 il Primo Premio e la Medaglia D’oro al Concorso Internazionale di Violino di Indianapolis.

Nel 1992 si trasferisce a New York, dove è allievo di Dorothy DeLay e di Isaac Stern alla Julliard School.  Collabora come solista e direttore con grandi orchestre fra cui Berliner Symphoniker, Orchestra sinfonica Nazionale della RAI, Virtuosi di Mosca, Dallas Symphony, Tokyo

Philharmonic e molte altre, esibendosi nelle più prestigiose sale come Carnegie Hall, Teatro alla Scala e altre.

Nel 1998 è fondatore e direttore musicale dell’orchestra da Camera di Kaunas (Lituania). Ha preso parte alla Giuria di concorsi come Premio Paganini, Enescu, IsangYun, Vienna Strings Competition.

Attualmente è docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Suona l’Antonio Stradivari 1702 ex “David Oistrach”, proprietà della Fondazione Pro Canale – Milano.

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