Mozart Sinfonia n 39 K 543 Il Canto del Cigno
Haydn Sinfonia 104 “Salomon”
Direttore Diego Fasolis
Coro della RTV Lugano
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore “Schwanengesang” (Canto del cigno), K 543
- Adagio, Allegro (mi bemolle maggiore)
- Andante con moto (la bemolle maggiore)
- Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Franz Joseph Haydn (1732 – 1809)
Sinfonia 104 in re maggiore “Salomon” Hob: I:104
- Adagio (re minore); Allegro (re maggiore)
- Andante (sol maggiore)
- Minuetto. Allegro (re maggiore) e Trio (si bemolle maggiore)
- Finale: Spirituoso (re maggiore)
I due titoli in programma rappresentano il congedo dei rispettivi Autori, i massimi sinfonisti del Settecento, dalla composizione più ambiziosa elaborata dal loro secolo per l’orchestra. Se nel caso di Haydn si tratta propriamente del titolo estremo d’una lunga serie, la sinfonia di Mozart è il primo e meno noto pannello della grande trilogia (completata dalla Sinfonia in sol minore K. 550 e dalla «Jupiter» K. 551, quest’ultima altrettanto in programma in questa stagione) con cui il compositore trentaduenne saldò precocemente i conti con il genere sinfonico nell’estate 1788. Due congedi, scevri tuttavia di qualsiasi malinconia, anzi vibranti di luce ed energia, capaci di dar vita a un brillante teatro sonoro, e perfettamente coerenti nelle analogie tra i rispettivi primi tempi preparati da un’introduzione lenta, e nell’invenzione trascinante dei Finali. Si comincia con l’esito estremo del sinfonismo haydniano, quella Sinfonia n. 104 con cui il supremo fautore del genere nel Settecento coronò, col dodicesimo lavoro composto per Londra («The 12th which I have composed in England», recita l’autografo, insieme alla precisazione in italiano «di me giuseppe Haydn mpria [manu propria] 795 London»), quasi quarant’anni di scrittura sinfonica e insieme un intero lustro di soggiorni in Inghilterra. Destinata al nuovo, eterogeneo e vasto pubblico delle sale da concerto, diretta trionfalmente dall’Autore stesso il 4 maggio 1795 nell’ultimo concerto a beneficio del compositore, cui fruttò ben 4000 fiorini, l’ultima sinfonia di Haydn maschera la sapiente complessità costruttiva (le relazioni fra i temi, ad esempio) con un’eloquenza estroversa e solenne che chiama in causa l’orchestra classica nel suo organico pieno, completo di clarinetti, trombe e timpani. L’ascoltatore vi viene introdotto attraverso il portale d’un Adagio in re minore, meditazione severa non distante nei suoi paramenti a lutto dal capolavoro quaresimale delle Ultime parole di Cristo sulla Croce. E tuttavia è proprio da questo clima contrita che scaturisce per contrasto – con un capovolgimento modale Re minore / Re maggiore analogo a quello che otto anni prima aveva caratterizzato l’ouverture del Don Giovanni di Mozart – l’impeto del primo, fondamentale tema del complesso Allegro. Questa prima grande pagina sinfonica cederà il passo di volta in volta alla serenità d’un Andante tripartito che sottopone a variazioni un tema minimalista, a un Minuetto vivificato da un Trio non ignaro di contrappunto, per concludersi con un Finale Spirituoso che, su un memorabile bordone di corni e violoncelli, esalta un temino popolaresco derivato da una ballata croata, pietra angolare d’un edificio sonoro raramente concepito in termini tanto grandiosi come compimento d’una sinfonia.
Forse scritta per un’ipotetica occasione concertistica che probabilmente non si realizzò, la Sinfonia in Mi bemolle maggiore K. 543, compiuta il 26 giugno 1788, coniuga in termini altamente originali la grandiosità d’un disegno di neoclassico nitore, dal carattere spiccatamente pubblico e dall’eloquenza immediata e aperta, con i tratti più raffinati di uno stile maturo dedito a un ideale artistico personale, appartato rispetto ai gusti della committenza. Un ideale di bellezza apollinea straordinariamente remoto dalla situazione contingente in cui versavano le sorti del compositore, ormai lontano dall’effimero idillio con la società viennese che l’aveva illuso pochi anni prima. Un solenne Adagio cerimoniale di teatrale drammaticità accoglie anche qui l’ascoltatore con quella nobile, quieta semplicità associata presso Mozart, nei concerti per pianoforte come nel Don Giovanni e nel Flauto magico, alla tonalità di Mi bemolle maggiore. In questa introduzione tripartita si assiepano, cifra inconfondibile dello stile tragico, austeri ritmi puntati e sciabordate violente degli archi, mentre ai fiati spetta insidiare la serenità dell’armonia. Da questo sfondo austero sorge alato il primo tema dell’Allegro, affidato alle corde dei violini I, fino all’esplosione dell’intera orchestra in uno slancio sinfonico dall’empito eroico. Il II tema vive di una delicatezza quasi estenuata, suddiviso tra un oscillante nastro di crome dei violini e la risposta per note ribattute dei legni. L’Andante con moto in La bemolle maggiore si offre all’ascolto come una creatura dal volto enigmatico, una settecentesca figura velata. Nella calma d’un ritmo di marcia trasfigurato lievita insensibilmente il tema esposto ai violini. In questa forma sonata priva di Sviluppo, il secondo tema, in drammatico fa minore, si materializza nel dialogo tra coppie di fiati, viole e bassi nell’atmosfera sinistra stabilita dal tremolo dei violini. Nella Ripresa, affidata all’orchestra al completo, Mozart introduce una modulazione del tutto imprevista nella tonalità remota di Si maggiore. Il Menuetto (Allegretto) è costituito un tempo di danza di respiro sinfonico grandioso, che alterna la compattezza dell’orchestra piena con la delicatezza della scrittura per soli archi. Il Trio propone il tenero incanto dei legni, perforato a due riprese la melodia popolaresca del clarinetto, prima della canonica ripresa del Menuetto. Il Finale (Allegro) è affidato a una memorabile, magnifica invenzione di haydniana levità: un agilissimo tema giocoso che crepita sotto la pelle, esposto dai soli violini I con l’accompagnamento dei II, ma ben presto raccolto e amplificato dall’orchestra al completo. Una cadenza fragorosa lascia il passo, in questa fittizia forma sonata (di fatto monotematica), a un sedicente II tema, costituito in realtà dalla semplice trasposizione del I in Si bemolle, proposto dai violini col discreto contributo dei legni. La Ripresa, che recluta fin dall’inizio i fiati, ribadisce l’appartenenza alla regione di Mi bemolle dell’unico tema ubiquo cui spetta, immancabilmente, l’ultima parola.
Raffaele Mellace
Diego Fasolis
direttore
Riconosciuto nel mondo come uno degli interpreti di riferimento per la musica storicamente informata, unisce rigore stilistico, versatilità e virtuosismo. Ha studiato a Zurigo, Parigi e Cremona, conseguendo quattro diplomi con distinzione. Ha iniziato poi la sua carriera come concertista d’organo, eseguendo più volte l’integrale di Bach, Mozart, Mendelssohn, Liszt.
Nel 1993 è stato nominato Direttore stabile dei complessi vocali e strumentali della Radiotelevisione svizzera. Dal 1998 dirige I Barocchisti, ensemble con strumenti storici da lui fondato insieme alla moglie Adriana Brambilla, prematuramente scomparsa, alla quale ha dedicato nel 2013 una Fondazione benefica per il sostegno di giovani musicisti. Ha collaborato con Cecilia Bartoli in registrazioni audio e video e importanti tournée internazionali.
Nel 2016 la Scala gli ha affidato la creazione di un’orchestra con strumenti originali, che ha diretto nel Trionfo del Tempo e del Disinganno. Sempre nel 2016 ha raccolto l’eredità di Nikolaus Harnoncourt, eseguendo tre volte la Sinfonia n. 9 di Beethoven al Musikverein di Vienna.
Nel 2011 Papa Benedetto XVI gli ha conferito un dottorato honoris causa per il suo impegno nell’interpretazione di musica sacra.
Vanta un’imponente discografia comprendente più di cento titoli con cui ha ottenuto numerosi dischi d’oro nomination ai Grammy Awards.
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