Un racconto che dura il breve arco di una mattina, ma che si dipana attraverso undici anni di vicende, dal 1943 al 1954. Una polifonia di punti di vista, personaggi, voci, dialoghi, descrizioni e storie che hanno come palcoscenico Napoli, la città che «ti ferisce a morte o t’addormenta». Un romanzo, ormai un classico della letteratura italiana, sulla lotta tra natura e storia, sugli amori mancati, sui ritorni e i rimpianti, ma anche un capolavoro di stile, di suono e di musica in cui, come ammette l’autore, «il vero protagonista è il tempo: il tempo della giovinezza».
Roberto Andò affronta Ferito a morte di Raffaele La Capria, Premio Strega nel 1961, in una versione per il teatro creata da Emanuele Trevi, vincitore dello stesso riconoscimento a sessant’anni di distanza. «Come ogni racconto del tempo che passa – spiega il regista – il romanzo di La Capria, in modo del tutto originale e unico, è attraversato dai fantasmi della Storia. In questo senso è anche un libro sul fallimento della borghesia meridionale, sul marciume corrosivo del denaro, sullo sciupio del sesso, sul disfacimento della città all’unisono con chi la abita, sulla logorrea e la megalomania, sul piacere di apparire e fingersi diversi da come si è. Soprattutto è una storia, come ha scritto Leonardo Colombati, che non ha principio né fine. Per adattare (parola che da sempre mi sembra imprecisa o inadeguata) questo grande romanzo al teatro ho chiesto l’aiuto di uno scrittore come Emanuele Trevi, da sempre dedito nei suoi bellissimi libri a riportare in vita ciò che è scomparso, a riacciuffare quel punto della vita che altrimenti sarebbe condannato a svanire per sempre».
Durata: 120’ senza intervallo
Dopo diversi tentativi falliti, finalmente Roberto Ando’ (regista} e Emanuele Trevi (adattatore) riescono a trasporre in versione teatrale il capolavoro di Raffaele la Capria che nel 1961 vinse il premio Strega.
Lo spettacolo e’ un riproporre le conversazioni, ricordi e i luoghi evocati da una persona che sta lasciando Napoli per trasferirsi a Roma e fa un bilancio della propria vita.
In scena appaiono ben 16 attori prevalentemente napoletani che si esprimonmo nel “napoletanese” di Raffaele La Capria. Si prende in considerazione non il popolo, ma la borghesia napoletana e spesso si fa riferimento al “circolo”, luogo d’incontro di svago e di dipendenza dal gioco.
Insomma un classico il libro ed un successo la rappresentazione teatrale.