Teatro

Mozart Pomeriggi musicali

Sabato 27 febbraio 2021

Direttore Alessandro Bonato

Clarinetto Marco Giani

Concerto per clarinetto e orchestra K622

Sinfonia n.38 “Praga”.

Davvero superba la performance del clarinettista Marco Giani.

Marco Giani

Clarinetto

Primo clarinetto dei Pomeriggi Musicali di Milano, si è diplomato con il massimo dei voti e lode con Nicola Bulfone, e poi laureto con Luigi Magistrelli. Vincitore in numerosi Concorsi Nazionali e Internazionali, si è inoltre distinto al prestigioso Concorso Internazionale ARD di Monaco 2012.In qualità di solista si è esibito con importanti orchestre quali: Münchener Kammerorchester (ARD), Kapelle Dresden Solisten, Deutsche Staatsphilharmonie Rheinland-Pfalz, I Pomeriggi Musicali, Staatskapelle Halle, e importanti direttori fra cui: Weller, Branny, Rustioni, Altstaedt, Calderon, Caballé-Domenech.Marco Giani ha suonato in alcune fra le più importanti sale concertistiche in Europa, Canada e USA: Musikverein di Vienna, Semperoper di Dresda, Konzerthaus Berlin, Teatro San Carlo di Napoli, Louise M. Davies Symphony Hall di San Francisco, Toronto Roy Thomson Hall, Carnegie Hall di New York. Ha collaborato con numerose orchestre italiane e straniere sotto la direzione di Metzmacher, Gatti, Muti, Sanderling, Eschenbach, Zacharias, von Dohnanyi, Gergiev. Nel 2014 ha pubblicato con Naxos 2 CD dedicati a Ernesto Cavallini.

Pomeriggi Musicali Dal Verme 06/2/2021

Maestri della sintesi
Stravinskij, Dumbarton Oaks
Kodaly, Nyáry Este (Sera d’estate)
Mozart, Sinfonia n. 41 in do magg. K 551 “Jupiter”

Direttore: Ryan McAdams
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Igor Stravinskij (1882-1971)
Concerto in Mi bemolle maggiore “Dumbarton Oaks”

I: Tempo giusto
II: Allegretto
III: Con moto

Zoltan Kodály (1882-1967)
Nyáry este (Sera d’estate) IZK 28

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sinfonia n.41 in do maggiore, K551 “Jupiter”

I: Allegro vivace
II: Andante cantabile
III: Menuetto: Allegro
IV: Molto allegro


Maestri della sintesi

Due dei tre lavori in programma, opera di figure chiave della nostra civiltà musicale, Mozart e Stravinskij, si prefiggono un obiettivo ambizioso: una riflessione sull’identità culturale della musica europea. Entrambi mettono infatti a confronto la parola del singolo con la tradizione da cui questi deriva, facendo così emergere tutta l’individualità di scrittura e il mondo espressivo di questi grandi autori. Commissionato dai mecenati Robert e Mildred Woods Bliss per celebrare il 30° di matrimonio, il Concerto in Mi bemolle maggiore per orchestra da camera – composto in Francia nel 1937/38 e diretto a Washington l’8 maggio 1938 da Nadia Boulanger (con l’Autore in Europa a curare la tubercolosi) – prende il nome dalla tenuta della coppia, Dumbarton Oaks, Distretto di Columbia, dove Stravinskij era stato ospite. Non è però la natura il riferimento fondamentale bensì la storia della musica: in particolare i Concerti brandeburghesi di Bach, di cui la partitura moderna vuole costituire un omaggio e un omologo. Lo denunciano lo spirito cameristico e concertante, sin dalla selezione di 15 strumenti (3 legni, 2 corni e 10 archi) che richiama la concezione della raccolta bachiana, intitolata in origine «concerts avec plusieurs instruments»; la sonorità primosettecentesca (sola eccezione il clarinetto); la ripresa, già praticata da Hindemith, dell’inesorabile meccanismo motorio dei tempi estremi; l’adozione, sin dall’attacco, dell’euforico ritmo anapestico (due brevi in levare, una lunga accentuata in battere), in Bach simbolo festivo. Non ne discende un pastiche né a un falso, bensì una partitura originale in cui, sulla scorta dell’estetica neoclassica discussa nel concerto del 14/16 gennaio per Pulcinella, il conflitto tra antico e moderno risulta in un sapore asprigno, convivenza paradossale e vitalissima di linee melodiche aguzze, contrasti metrici, accenti fuori sede: insomma, un’«asprezza cubista» (Giorgio Pestelli). Non manca lo spazio, come spesso in Stravinskij, per l’umorismo, la cui sede parrebbe l’Allegretto centrale, che nel disegno melodico esitante sembra rievocare un memorabile motto verdiano («Se Falstaff s’assottiglia»).

Fa invece i conti con l’espressione in presa diretta del sentimento il poema sinfonico Sera d’estate di Zoltán Kodály, scritto a 23 anni e presentato il 22 ottobre 1906 a Budapest. Debutto del compositore, poi anche grande etnomusicologo e didatta, nell’agone sinfonico, gli ottenne una borsa di studio per proseguire gli studi all’estero. Accantonato, venne ripreso nel 1929, quando fu rivisto dall’autore e dedicato a Toscanini, che lo diresse nel 1930 con la New York Philarmonic Orchestra. Kodály ne parlava, laconicamente, così: «Il titolo significa soltanto che il lavoro è stato concepito nelle sere d’estate, tra i campi di grano tagliato di recente, ascoltando il mormorio delle onde dell’Adriatico». Un ritratto dell’io dell’artista, dunque, più che non del paesaggio circostante. Composto in forma sonata, con classico senso dell’equilibrio, per un’orchestra ridotta, in una scrittura tardoromantica che accoglie elementi folklorici pentatonici estranei al sistema tonale, spalanca uno spazio sonoro evocativo già dall’apertura affidata alla melopea incantatoria del corno inglese, voce che rimarrà, con il flauto e tutta la sezione dei legni, costantemente in primo piano.

Non occorre il nomignolo di “Jupiter”, forse coniato dall’impresario Johann Peter Salomon, per individuare nell’ultima sinfonia mozartiana, completata il 10 agosto 1788, il valore di summa di un’intera esperienza compositiva, l’estremo contributo, benché a tre anni e 80 numeri di catalogo dalla scomparsa del compositore, al genere che Beethoven avrebbe consacrato come il più illustre della musica assoluta. Sintesi suprema di esperienze musicali, culturali ed esistenziali, la Jupiter lo è in sommo grado, con la sua perfetta convivenza di solenne e intimo, serio e faceto, dotto e cordiale, in un organismo che cela miracolosamente le giunture al punto da convincere l’ascoltatore che il fluire d’un linguaggio nel suo opposto sia naturale (anzi naturalissimo, chioserebbe Figaro). Si considerino solo due esempi: l’insinuarsi a sorpresa, nel grandioso I tempo (il cui assertivo attacco all’unisono è esaltato dalle terzine di semicrome ascoltate nello scorso concerto nella Sinfonia K. 318), di un petulante terzo tema, non indispensabile eppure poi fondamentale nello sviluppo e nella coda, tratto dall’aria per basso Un bacio di mano K. 541 che Mozart aveva scritto per l’opera buffa di Anfossi Le gelosie fortunate, in scena quell’anno a Vienna. La citazione, corrispondente ai versi «Voi siete un po’ tondo, / mio caro Pompeo; / l’usanze del mondo / andate a studiar», fa precipitare il livello stilistico, animando in compenso l’ambiziosa architettura sinfonica col bonario cicaleccio del teatro giocoso più alla moda: quasi l’irruzione, scrive Carli Ballola, d’«un Eros fanciullo sorpreso a strappare le penne dell’aquila» di Giove. All’altro capo della sinfonia, il tema che inaugura il Finale risale per li rami a un antico soggetto gregoriano, dal Magnificat del terzo tono, impiegato per secoli, anche da Mozart (nel Credo della Missa brevis K. 192), che qui lo colloca alla base di un tempo sì in forma sonata, ma innervato, tramite il ricorso ai procedimenti della fuga, d’un tale tasso di polifonia da proporre la combinazione in contrappunto multiplo di ben cinque idee tematiche, in una sintesi inedita tra aggiornato linguaggio sonatistico e antico e venerando magistero polifonico. Con la Jupiter Mozart non ci offre però solo un capolavoro di abbacinante, mirabile ingegneria compositiva risultante in una «grandiosa apoteosi, paragonabile a un vertiginoso trionfo tiepolesco» (Massimo Mila), ma eleva un messaggio tutto interiore di serena, olimpica utopia che trascende le sofferenze umane: il messaggio che troverà nel Flauto magico, sul limitare della morte, il sigillo definitivo.

Ryan McAdams
direttore d’orchestra

Ryan McAdams si sta velocemente affermando come uno dei direttori più versatili ed interessanti della sua generazione. Ugualmente apprezzato come direttore sinfonico, operistico e di musica contemporanea, nella stagione 2019/20 è tornato a collaborare con il Ravello Festival e con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. Nell’autunno 2019, ha diretto la produzione di Les pêcheurs de perles per il Teatro Regio di Torino. Nella stagione 2020/21 dirigerà in Italia la Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, di nuovo l’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI e l’Orchestra Sinfonica Siciliana di Palermo. Grande sostenitore della musica contemporanea, Ryan McAdams è stato il direttore d’orchestra per il 103° anniversario della nascita di Elliott Carter al 92Y con Fred Sherry e Nicholas Phan – un concerto che è stato menzionato come uno dei migliori eventi di musica classica del 2011 dal New York Times; ha inoltre diretto in Irlanda la première dell’opera Il Secondo Violinista di Donnacha Dennehy, prima di portare la produzione al Barbican di Londra. Ryan McAdams ha studiato alla Juilliard School e all’Indiana University. È stato il primo vincitore assoluto del Sir George Solti Award come miglior direttore d’orchestra emergente e dell’Aspen-Glimmerglass Prize nella sezione operistica

Europa,volti di una tradiziione

Pomeriggi Musicali Dal Vermo 30 gennaio 2021

Il genio in erba
Rossini, Sinfonia in Re maggiore “Del Conventello” per orchestra
R. Strauss, Concerto per violino op. 8
Bizet, Sinfonia in do maggiore GB 115

Direttore: Carlo Boccadoro
Violino: Pavel Berman
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Gioachino Rossini (1792 – 1868)
Sinfonia in Re maggiore “Del Conventello” per orchestra

Richard  Strauss (1864-1949)
Concerto per violino op.8
I: Allegro
II: Lento, ma non troppo
III: Rondo: Presto

Georges Bizet (1838-1875)
Sinfonia in do maggiore GB 115
I: Allegro vivo
II: Adagio
III: Menuetto
IV: Allegro vivace


Il genio in erba

La musica oggi in programma è un ritratto della gioventù, composta com’è da due promettenti diciassettenni e da un terzo autore comunque assai giovane. Pur essendone allora ignari, erano tutti avviati verso un futuro luminoso, le cui tracce siamo invitati a cercare in queste brillanti prove giovanili.

Diciassette anni aveva Richard Strauss quando, nel 1881, mise mano al Concerto per violino in re minore op. 8. Ancora studente a Monaco, nel capoluogo bavarese aveva ottenuto quell’anno i primi riconoscimenti pubblici, con l’esecuzione in sedi prestigiose del Quartetto in La maggiore e della Sinfonia in re minore. Trascorsa parte dell’estate 1882 a Bayreuth con il padre, primo corno al debutto del Parsifal, il 5 dicembre di quell’anno il compositore in erba presentava la sua nuova creatura a Vienna, dove si trovava per una tournée, accompagnando al pianoforte il dedicatario del concerto, Benno Walter, in una riduzione per violino e pianoforte in cui, secondo gli usi dell’epoca, il concerto ebbe una buona circolazione. Favorevolissima, d’altra parte, fu l’accoglienza della stessa “prima” viennese, in occasione della quale il severo critico Eduard Hanslick indicò nel ragazzo «un talento poco ordinario». Naturalmente la scrittura del giovane Strauss – il futuro autore dei poemi sinfonici, sommo operista e liederista – reclama però la grande orchestra romantica, come dichiara sin dall’attacco l’articolata introduzione all’Allegro d’apertura di questa partitura imponente. Analogamente al Concerto per violino, anch’esso in re minore, composto dal tredicenne Mendelssohn esattamente sessant’anni prima (lo si ascolterà il 4 e 6 marzo), si tratta del saggio sontuoso di un talento straordinario che si esprime sul terreno della grande forma, navigando opportunamente lungo la costa, al riparo dei modelli su cui si è formato. In questo caso i modelli, per lo studente cresciuto alla scuola classicista monacense (l’incontro con Wagner non è all’epoca ancora avvenuto), i modelli non possono essere che classici e, tra i romantici, i “classicisti” Mendelssohn, quello del Concerto maggiore per violino, l’op. 64 (anch’esso in programma il 4 e 6 marzo), e Brahms. Nella tonalità in cui aveva già composto nel 1880 la citata Sinfonia, il diciassettenne Strauss costruisce la vasta architettura d’un concerto a regola d’arte, che contempera la grandiosità dell’Allegro, il quieto lirismo del Lento ma non troppo in sol minore e l’estroverso, brillante virtuosismo del Rondò. Prestissimo.

Bizet compose la Sinfonia in Do maggiore a Parigi nell’autunno 1855, all’indomani del diciassettesimo compleanno e pochi mesi dopo la “prima” all’Opéra dei Vespri siciliani. Non il romanticismo verdiano è però il riferimento del talento in erba, bensì il mondo sonoro del classicismo viennese, filtrato attraverso Mendelssohn e Gounod, di cui Bizet aveva appena trascritto la Sinfonia in Re maggiore. Rimasto inedito e ignoto fino al 1935, il lavoro nulla ha dell’esercizio in un sinfonismo che Bizet percepiva come poco congeniale: è piuttosto un gioiello di romanticismo aurorale, d’un protoromanticismo ignaro di tensioni insolubili, ingenuo in senso schilleriano: una “voce” che potrà ricordare quella di Schubert, con cui non ha relazioni se non, fondamentale, la derivazione dai classici. La frequentazione con Haydn Mozart e Beethoven è evidente nel I tempo (si notino in tutta la sinfonia le indicazioni agogiche, volte alla massima brillantezza, Allegro vivo o vivace, compensate dal lirismo dell’Adagio), un condensato d’energia caratterizzato da un tema perentorio dominato da una formula ritmica poi pervasiva (alla Beethoven, tre note appena), che assicura uno slancio controbilanciato dall’alata cantabilità del II tema. Dal suggestivo, indugiante avvio dell’Adagio sboccia la melopea dell’oboe, le cui inflessioni esotiche lasciano brevemente il campo a un più franco élan romantico, prima che s’inneschi un fugato a quattro voci su un soggetto scherzoso, parente nel profilo melodico del I tema dell’Allegro vivo d’apertura. Si apprezzi, nella mirabile ingegneria di questa costruzione equilibratissima (parto “ingenuo” dell’efebo, ma al contempo architettura sonora sapientissima), l’adozione di strategie che compensino la tensione verso quel parossismo energetico che infiammerà la Carmen vent’anni esatti più tardi: andranno interpretate in questo senso la presenza, nello Scherzo (Allegro vivace), di un’ampia melodia ai violini da eseguirsi piano con molta espressione; il pesante bordone di viole e violoncelli su cui il clarinetto, il corno e poi l’oboe intrecciano un rustico Ländler nel Trio dello stesso Scherzo; infine, l’affiorare, in quel meccanismo a tamburo battente che è l’Allegro vivace conclusivo, d’un tema cantabile dall’afflato lirico.

Raffaele Mellace

Carlo Boccadoro

Carlo Boccadoro
Carlo Boccadoro ha studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dove si è diplomato in Pianoforte e Strumenti a Percussione. Nello stesso istituto ha studiato Composizione con diversi insegnanti, tra i quali Paolo Arata, Bruno Cerchio, Ivan Fedele e Marco Tutino. Dal 1990 la sua musica è presente in importanti stagioni concertistiche e sale da concerto tra cui: Teatro alla Scala, Biennale di Venezia, Bang On A Can Marathon di New York, Orchestra Filarmonica della Scala, Gewandhaus di Lipsia, Aspen Music Festival, Monday Evening Concerts (Los Angeles), Detroit Symphony Orchestra, Musikverein di Vienna, Salle Pleyel di Parigi, Teatro La Fenice di Venezia, Barbican Centre di Londra, Alte Oper di Francoforte, Festival di Lucerna, Concertgebouw di Amsterdam, National Concert Hall Dublin, Royal Academy di Glasgow, Maggio Musicale Fiorentino, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Filarmonica ‘900 del Regio di Torino, I Pomeriggi Musicali, Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, Arena di Verona, Festival MITO, Unione Musicale di Torino; Mittelfest di Cividale del Friuli; Tiroler Festpiel; Società del Quartetto di Milano, Festival Bolzano Danza, Settimane Musicali di Stresa; Teatro Comunale di Bologna; Ferrara Musica, Aterforum, Orchestra Arturo Toscanini dell’Emilia Romagna, Teatro Regio di Parma; Orchestra della Toscana; Cantiere Internazionale D’Arte di Montepulciano; Accademia Filarmonica Romana; RomaEuropa Festival, Teatro Massimo di Palermo; Teatro Comunale di Cagliari, e molti altri. Ha collaborato con artisti provenienti da mondi molto diversi, tra i quali Riccardo Chailly, Omer Meir Wellber, Gianandrea Noseda, John Axelrod, Franco Battiato, Luca Ronconi, Gavin Bryars, David Lang, Enrico Dindo, Lu Ja, Antonio Ballista, Donald Crockett, James MacMillan, Vicky Ray, Evan Ziporyn, Bruno Canino, Marcello Panni, Eugenio Finardi, Domenico Nordio, Mario Brunello, Enzo Cucchi, Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia, Federico Maria Sardelli, Giovanni Mancuso, Giuseppe Albanese, il duo Pepicelli, Roberto Prosseda, Claudio Bisio, Moni Ovadia, Andrea Lucchesini, Ars Ludi, Bruno Casoni, Danilo Rossi, Emanuele Segre, Fabrizio Meloni, Valerio Magrelli, Giovanni Sollima, Pietro De Maria, Lina Sastri, Abdullah Ibrahim, Jim Hall, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Mauro Negri, Paolo Birro, Bebo Ferra, Glauco Venier, Roberto Dani, Andrea Dulbecco, Paolino Dalla Porta, Emanuele Cisi, Furio Di Castri, Chris Collins. Nel 2001 è stato selezionato dalla Rai per partecipare alla Tribuna Internazionale dei Compositori dell’UNESCO a Parigi. Nel 2004 Luciano Berio gli ha commissionato, per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’opera per ragazzi La nave a tre piani, eseguita all’Auditorium di Roma diretta dall’Autore stesso nel 2005 e successivamente ripresa lo stesso anno dal Teatro Regio di Torino. Ha inoltre scritto altre quattro opere da camera: A qualcuno piace tango (eseguita a Torino, Milano, Palermo, Montepulciano, Narni, Terni, Amelia) Robinson (eseguita a Terni, Narni, Amelia, Torino e Napoli), Cappuccetto rosso (Modena) e Boletus (Terni). È tra i fondatori del progetto culturale Sentieri selvaggi, che comprende un Festival al Teatro Elfo Puccini di Milano e un Ensemble di cui è direttore artistico e musicale. Svolge anche attività come direttore d’orchestra: ha diretto l’Orchestra del Teatro alla Scala, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, la Royal Philarmonic Orchestra, I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, l’Orchestra della Toscana, L’Orchestra del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona e altre ancora. Diverse sue composizioni sono state registrate su etichette discografiche come EMI Classics, Sony Classical, Ricordi, Warner Classics, Canteloupe Music, Agorà, Velut Luna, Materiali Sonori, Sensible Records, Phoenix Classics.


Pavel Berman
violino

Nato a Mosca, vi frequenta il Conservatorio Tchaikovsky. Attira l’attenzione internazionale molto giovane, vincendo nel 1990 il Primo Premio e la Medaglia D’oro al Concorso Internazionale di Violino di Indianapolis.

Nel 1992 si trasferisce a New York, dove è allievo di Dorothy DeLay e di Isaac Stern alla Julliard School.  Collabora come solista e direttore con grandi orchestre fra cui Berliner Symphoniker, Orchestra sinfonica Nazionale della RAI, Virtuosi di Mosca, Dallas Symphony, Tokyo

Philharmonic e molte altre, esibendosi nelle più prestigiose sale come Carnegie Hall, Teatro alla Scala e altre.

Nel 1998 è fondatore e direttore musicale dell’orchestra da Camera di Kaunas (Lituania). Ha preso parte alla Giuria di concorsi come Premio Paganini, Enescu, IsangYun, Vienna Strings Competition.

Attualmente è docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Suona l’Antonio Stradivari 1702 ex “David Oistrach”, proprietà della Fondazione Pro Canale – Milano.

Biglietteria

A tutto Ludwig “Natura e sentimento”

Pomeriggi musicali sabato 23 gennaio in streaming.

1)Beehoven Concerto nr 1 per pianoforte e orchestra. Dirige George Pehlivarian

Pianoforte Herbert Schuch.

Quest’ultimo ha suonato in modo eccellente: un vero portento.

al termine della performance gli orchestrali lo hanno applaudito con foga.

2) Beethoven  Sinfonia .6 “Pastorale”

D’ incanto lo spettatore viene catapultato in una magica foresta dalla bravura dei professori di musica davvero eccezionali.

Bellissima rappresentazione che certamente avrebbe registrato il pieno in sala.

Europa, volti una tradizione

Classici russi
Stravinskij, Danses Concertantes
Prokof’ev, Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 “Classica “
Stravinskij, Pulcinella, suite da concerto

Direttore: Carlo Rizzi
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Classici russi 

Il titolo di queste note andrà letto in due sensi. Da un lato Stravinskij e Prokof’ev sono senz’altro classici: con Šostakovic probabilmente i talenti più straordinari nati in Russia e tra i massimi geni del Novecento. Dall’altro si allude a una peculiarità del programma di questo concerto. Con la musica proposta, in termini programmatici nei lavori più noti, sia Stravinskij che Prokof’ev sposano una tendenza fondativa del Novecento musicale che vede la luce all’indomani della Grande guerra: l’estetica neoclassica, ispirata al rifiuto delle istanze romantiche, impressioniste ed espressioniste, che vedrà allineati con sfumature diverse Ravel, i Six, Falla, Respighi; estetica che esalta il significato del dato formale rifacendosi alla civiltà musicali precedenti il romanticismo, di cui mutua forme, generi e sonorità calandoli in un contesto armonico, ritmico e timbrico modernissimo, ottenendo un cortocircuito espressivo provocatorio e squisitamente novecentesco. Incontriamo uno Stravinskij perfettamente a suo agio in questa veste stilistica di cui era stato, proprio a partire dal Pulcinella, tra gli iniziatori e principali alfieri in un lavoro poco frequentato, conferma del magistero compositivo dell’Autore e dell’efficacia comunicativa di quella formula estetica. Le Danses concertantes vennero ultimate il 13 gennaio 1942 in California, dove Stravinskij aveva riparato durante il conflitto mondiale, commissione di Werner Janssen, direttore di un ensemble d’avanguardia che le presentò, sotto la direzione dell’Autore, l’8 febbraio 1942 a Los Angeles. Sono concepite come la musica per un balletto immaginario (nel 1944 Balanchine vi realizzò effettivamente una coreografia, proposta a New York), incorniciata da una marcia vigorosa che introduce e, abbreviata, chiude la sequenza centrale: un Pas d’action, un Thème dal lirismo stralunato corredato da quattro variazioni, e un Pas de deux. Caratterizzano la partitura molta arguzia (in fondo non si può considerare Stravinskij, con Haydn, il più grande umorista della nostra civiltà musicale?) e un puntuto vigore ritmico che non smentisce l’Autore di Petruška.

Nel 1918 il giovane Sergej Prokof’ev lascia la Russia in fiamme portando con sé a New York la partitura della Sinfonia “classica” in Re maggiore, scritta nei due anni precedenti e presentata a S. Pietroburgo, allora Pietrogrado, il 21 aprile 1918. Sorprendentemente la composizione, saldamente e assai precocemente ispirata all’orientamento estetico ora accennato, nulla tradisce dei drammatici eventi rivoluzionari. Si configura piuttosto come una sinfonia di Haydn al quadrato: si badi, non una parodia, cioè un falso, bensì la restituzione del sereno orizzonte espressivo haydniano rivissuto dal venticinquenne russo con un candore che produce il miracolo d’una perfetta immedesimazione negli ideali estetici del classicismo viennese. Idee tradotte nella nettezza adamantina di oggetti musicali dal carattere pregnanti. Ed ecco allora che la musica crepita sotto la pelle nel frizzante Allegro d’apertura, naturalmente in forma sonata, non si scompone nel passo elegante e misurato d’un Larghetto in cui convivono misura olimpica e umorismo discreto, imbocca la strada d’una danza dal profilo inconfondibile nella sapida Gavotta (prima delle quattro pagine a veder la luce nel 1916), preferita al regolamentare minuetto e reimpiegata vent’anni dopo nel balletto Romeo e Giulietta, si congeda infine dagli ascoltatori con la frenesia inarrestabile del bel Finale¸ Molto vivace

Il manifesto dell’estetica neoclassica va però individuato nel balletto Pulcinella, il cui debutto, il 15 maggio 1920 all’Opéra di Parigi – scenografo Picasso, primo ballerino e coreografo Massine – inaugurò la stagione centrale di Stravinskij. «Pulcinella fu la mia scoperta del passato, l’epifania tramite la quale divenne possibile tutto il mio lavoro successivo. Fu uno sguardo all’indietro, naturalmente, il primo dei miei amori in quella direzione; ma fu anche uno sguardo allo specchio». Composto in Svizzera, a Morges, rispondeva alla commissione del patron dei Ballets russes Djagilev d’un accompagnamento pseudosettecentesco a un soggetto, dalla commedia dell’arte, in cui la maschera Pulcinella è al centro d’una vicenda di gelosia e travestimenti. Iniziata a fine 1919, compiuta il 20 aprile 1920, la partitura si avvale di 21 composizioni “pergolesiane”, oggi ricondotte a un più ampio gruppo di autori, tanto che nella suite orchestrale predisposta nel 1924 e rivista nel 1949 si riducono ad appena tre (II, VII e VIII) le pagine pergolesiane, con la fetta più consistente spettante al veneziano Domenico Gallo. La versione da concerto ripropone della suite barocca la festosa pagina introduttiva, la regolata alternanza tra tempi rapidi e distensione lirica, movimenti di danza e più generiche pagine di carattere motorio, in studiato chiaroscuro che fa sfilare una serie di maschere bizzarre, malinconiche, chiassose o argute. Note trasfigurate, quelle stravinskijane: resistono profili melodici e bassi dei modelli settecenteschi, ma le esili pagine cameristiche sono investite d’una carica parodistica che le snatura e ricrea dall’interno, sottoponendole a una geniale lente deformante. L’ironico duetto trombone-contrabbasso (VII) suona come una cacofonica, sonora smentita delle delizie bucoliche del numero prima (il decorativismo rococò della Gavotta agìta dai legni, quasi uccellini variopinti di ceramica di Capodimonte), trasformando una sonata di Pergolesi in un numero da cabaret alla Kurt Weill. In primo piano è il parametro ritmico, acuminato, spigoloso, “cubista”, vero dominus, con l’inesausta fantasia timbrica, d’un gioco intellettuale sofisticato, in cui il compositore moderno cerca nell’omologo di due secoli prima l’interlocutore d’un dialogo vitale. Infatti, «Solo coloro che sono veramente vivi sanno scoprire la vita presso coloro che sono “morti”».


Carlo Rizzi

direttore

Carlo Rizzi ha una reputazione consolidata come uno dei direttori d’orchestra di riferimento a livello mondiale, a proprio agio sia in teatro che in sala da concerto. Il suo ampio repertorio spazia dai capisaldi operistici e sinfonici alle rarità di Bellini, Cimarosa e Donizetti, Giordano e Pizzetti. Da settembre 2019 Rizzi è Direttore musicale di Opera Rara.

Dal 2015 Rizzi è Direttore laureato della Welsh National Opera, dopo due periodi come Direttore musicale. Oltre a mantenere uno stretto rapporto con il Teatro alla Scala, la Royal Opera House di Londra e la Metropolitan Opera di New York, nel corso della carriera ha diretto nei teatri più blasonati, dall’Opéra National de Paris al Teatro Real de Madrid, dal Rossini Opera Festival alla Lyric Opera di Chicago e Deutsche Oper Berlin.

La vasta discografia di Carlo Rizzi include Faust, Katya Kabanova e Rigoletto e Un ballo in maschera con WNO; un DVD e CD Deutsche Grammophon de La traviata con Anna Netrebko, Rolando Villazón e i Wiener Philharmoniker; dischi di recital con rinomati cantanti d’opera tra i quali Joseph Calleja, Juan Diego Flórez, Edita Gruberova, Olga Borodina e Thomas Hampson, e di recente Joyce El-Khoury e Michael Spyres per Opera Rara.

Grande  esecuzione e la maestria degli esecutori ha fatto dimenticare la trasmissione in streaming.

Vivaldi «La natura e il suo valore»: I Pomeriggi Musicali celebrano la fine del lockdown

Antonio Vivaldi Le quattro stagioni da Il cimento dell’armonia e dell’invenzione
Concerto n. 1 in mi maggiore op. 8 RV 269 “La primavera”
Concerto n. 2 in sol minore op. 8 RV 315 “L’estate”
Concerto n. 3 in fa maggiore op. 8 RV 293 “L’autunno”
Concerto n. 4 in fa minore op. 8 RV 297 “L’inverno”
Orchestra d’archi I Pomeriggi Musicali
Direttore e violino solista

Non hanno perso letteralmente un minuto, I pomeriggi musicali. A mezzanotte e uno della notte tra domenica 14 e lunedì 15 giugno le porte del Teatro dal Verme aprono al pubblico per il primo concerto dopo il lockdown. Un gesto simbolico per ricordare l’importanza dell’istituzione milanese nella storia musicale della città: «Anche dopo la seconda guerra mondiale fummo i primi a riportare la musica a Milano» ricorda Giovanni Benvenuto, presidente della Fondazione.

Per questa occasione speciale c’è il fior fiore dell’élite lombarda in sala: tra gli altri c’è l’Attilio Fontana, presidente della regione; ci sono l’Anna Scavuzzo e il Filippo Del Corno, vicesindaco e assessore alla cultura di Milano, c’è il Mons. Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo. Soprattutto ci sono i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che sono stati in prima linea nel contenimento del virus, e a loro viene dedicato questo primo concerto.

Al di là delle parole di rito dei politici sull’importanza della cultura e della musica per Milano, la Lombardia e l’umanità nel suo complesso, tanto più in questo momento difficile per tutti – se alle parole seguiranno i fatti è ancora tutto da vedere – è toccante soprattutto la testimonianza di Emanuele Catena e Roberto Rech, medici dell’Ospedale Sacco, tra i primi ad intervenire a Codogno, dove impotenti hanno assistito alle prime ondate del virus, e in seguito nel loro ospedale alla disperata ricerca di posti di terapia intensiva. La retorica «guerresca» con cui è stata descritta la battaglia al Covid-19 ha campeggiato su tutti i giornali e tutti gli spot pubblicitari in questi tempi, tanto da renderci forse un po’ insensibili; ma pronunciata da chi è stato effettivamente in prima linea lascia tutt’altro che indifferenti.

Si riparte da Vivaldi e dalle sue Quattro stagioni ovvero le pagine più note tratte da Il cimento dell’Armonia e dell’inventione, raccolta di concerti per violino e orchestra d’archi. L’intento è celebrare «La natura e il suo valore», come recita il titolo scelto per la serata, e non ci potrebbe essere modo migliore di ripartire delle gioiose note della Primavera. Sono visibilmente emozionati i musici, quasi come fossero ad una sorta di secondo debutto. È emozionato anche Stefano Montanari che li dirige con il suo violino e che con il suo abbigliamento da metallaro ricorda quasi un Rob Halford, proprio come Nigel Kennedy – un altro grande anticonformista interprete di Vivaldi: sarà un caso? – ricorda un Johnny Rotten.

Non si può negare, la comprensibile emozione fa apparire un po’ di ruggine: perché ricominciare a suonare dopo tre mesi di forzato silenzio non è facile neanche per dei musicisti rodatissimi, neppure se il repertorio è arcinoto. Il tutto è più della somma delle sue parti, e di tempo per le prove d’ensemble non ce ne deve essere stato molto. Insomma, affiora qua e là qualche imprecisione, qualche intonazione un po’ calante, qualche piccola sbavatura che tuttavia non riesce a scalfire di una virgola il momento magico che tutti i presenti – musicisti, addetti ai lavori, pubblico – stanno aspettando, il momento del ritorno alla musica dal vivo.

Sicché la voglia di suonare predomina, e la catarsi si realizza comunque: Montanari nei momenti di grazia sa emettere dei trilli che sembrano proprio quegli uccellini che Vivaldi aveva inserito in partitura, un gran gusto per gli abbellimenti e un’incessante ricerca dell’effetto migliore ricorrendo a tempi rubati o colori particolari sperimentando con le dinamiche oppure suonando col legno.

Non difetta né di estro né di originalità il violinista e direttore d’orchestra, cosa che magari può scontentare i più filologi e i conservatori della tradizione. Tutti gli altri possono chiudere un occhio (anzi un orecchio) e godere dell’energia che l’ensemble riesce a infondere in queste Stagioni vivaldiane.

Perché forse in questo momento la musica suonata passa non tanto in secondo piano (giammai!), ma un passettino a lato, magari sì: ripartenza è la parola importante, e la musica affluirà spontaneamente. Conta ricominciare. Anche se nelle condizioni attuali il cammino verso il ritorno alla normalità parrebbe ancora lungo. Si riparte quando le stagioni dei teatri in tempi normali sarebbero già terminate, ma non sono tempi normali: tre mesi di spettacoli programmati – spesso con anni di anticipo – cancellati, pubblico in sala decimato, o quasi (un seggiolino occupato ogni due liberi, una fila sì e una no) e una piccola stagione estiva da inventarsi da zero in fretta e furia. Scelte obbligate per tutti, dagli enti più prestigiosi ai teatri più scalcagnati. Coraggiosa la volontà de I pomeriggi musicali di abbinarvi una politica di prezzi ultra-popolari [7] (biglietti a cinque euro) che potrebbe diventare un ottimo volano di promozione, anche se ci chiediamo a quali costi per le casse della fondazione. Ci si perdonerà il francesismo cambronniano, ma mai come in questo caso ci sembra doveroso un buon’augurio: «merda, merda, merda!»

 

Stefano Montanari

Pomeriggi Musicali

A causa del Covid, l’esecuzione e’ avvenuta in streaming.

Direttore e sassofono Federico Mondelci.

Nino ROTA Omaggio a Fellini, suite per sassofonno e orchestra.

Honegger Pastorale d’ete.

Ibert Concertino da camera per sassofono e orchestra

Milhaud Scharamouche per sassofono e orchestra.

Ho molto apprezzato l’omaggio a Fellini, che mi ha riportato con il pensiero a tanti suoi films.

Pomeriggi Musicali

 

Direttore Stefano Montanari

Georg Friedrich Händel (1685-1759)

Musica per i regali fuochi d’artificio, HVW 351

I: Ouverture: Adagio-Allegro-Lentement-Allegro

II: Bourrée

III: La paix: Largo alla siciliana

IV: La Réjouissance

V: Minuetto I e II

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791),

Sinfonia n.35 in re maggiore, K 385 “Haffner”

I: Allegro con spirito

II: Andante

III: Menuetto

IV: Presto

L’abito della festa

 

Molto accomuna i lavori in programma, il più antico del cartellone della 76° stagione dei Pomeriggi Musicali e la prima delle sette sinfonie mozartiane che si avrà modo di ascoltare. Entrambe le composizioni nacquero per occasioni festive, per celebrare eventi fausti di natura diversa ma radicati nella società ancien régime di quel Settecento che si potrebbe a buon diritto definire il secolo di Handel e Mozart. Entrambe ci raccontano del costume che vedeva nella musica un ingrediente primario e imprescindibile di ogni celebrazione di interesse pubblico, cui contribuiva con la capacità di rendere solenne e trasmettere euforia. Lo denuncia, in entrambe le partiture, l’adozione del Re maggiore, tonalità festiva per antonomasia poiché perfettamente adatta al clangore degli ottoni, trombe e corni, nel Settecento ancora “naturali” ovvero senza pistoni, e alla luminosità dei violini. Entrambe le partiture furono lavori d’occasione, con cui i rispettivi compositori risposero a una sollecitazione esterna e non a un’intima ispirazione: circostanza che tuttavia non ha affatto nuociuto alla qualità del risultato. Al di là di tutte queste affinità, il rapido scorrere della Storia, della musica in questo caso, non manca di farsi sentire: benché composti a poco più di trent’anni di distanza, le due partiture sembrano provenire da continenti remoti: nonostante qualche labile punto di contatto come l’adozione della forma del minuetto, parlano lingue diverse, come se la Londra dell’estrema maturità di Handel e la Vienna in cui era da poco approdato il giovane Mozart distassero ben più dei 1400 km. che le separano. Vi si contrappongono infatti, l’un contro l’altro armato, da un lato il mondo della suite di ascendenza ancora secentesca, dall’altro il moderno sinfonismo posto da Haydn a fondamento dello stile classico.

The Musick for the Royal Fireworks nacque nella grande stagione degli oratori handeliani, quando il compositore, tedesco di nascita ma naturalizzato cittadino britannico, fu raggiunto dalla commissione della Corte reale inglese per i festeggiamenti della Pace di Aquisgrana che il 7 ottobre 1748 aveva posto fine alla Guerra di successione austriaca. La prima esecuzione, il 27 aprile 1749 al londinese Green Park, avrebbe combinato sinesteticamente un grandioso spettacolo di fuochi d’artificio con lo spiegamento d’una compagine musicale straordinaria, ridimensionata al formato standard dal compositore stesso per una ripresa presso il Foundling Hospital, istituzione per l’infanzia abbandonata di cui Handel era da quell’anno governatore. Per la sua ultima grande composizione orchestrale, Handel propose una suite di stile francese (ouverture, tre danze e un pezzo caratteristico, La Réjouissance) dal chiaro intento celebrativo. Esaltano in particolare gli effetti benefici della pace La Paix e La Réjouissance. Grandiosità dell’impatto fonico e felicità dell’invenzione tematica si alleano in una costruzione che alterna per contrasto il vigore marziale di ouverture, Réjouissance e di uno dei menuet alla delicata essenzialità di Bourrée, Paix e dell’altro menuet. Si apprezzino la monumentale Ouverture, debitrice della Hornpipe della Water Music di 24 anni prima, il quadro di serenità pastorale (ritmo alla Siciliana, rilievo dei fiati) della Paix, la trasfigurazione d’una fanfara vittoriosa della Réjouissance, che rielabora idee tematiche dell’italiano Giovanni Porta. In questa festa musicale sono protagonisti il piacere del suono, la pennellata larga del gesto melodico per una compagine numerosa, l’erompere di un’energia ritmica senza briglie, il cicaleccio fragoroso dei fiati, le figure marziali di fanfara, l’invenzione inesausta di puntuti profili ritmici, l’amabilità cordialità dei temi, il tono dominante di spensierata allegria.

Ben altra commissione, privata ma non meno cogente, giunse a Mozart nel luglio 1782 tramite il padre Leopold, che dalla natìa Saliburgo richiedeva una musica festiva per l’innalzamento al rango nobiliare del borgomastro di Salisburgo Siegmund Haffner, di cui Wolfgang aveva celebrato sei anni prima le nozze della figlia con la splendida Serenata K. 250, nota anch’essa come “Haffner”. La richiesta lo coglieva alle prese con l’allestimento del Ratto dal Serraglio, biglietto da visita a Vienna, e le nozze con Constanze. Accettò di malavoglia e lavorò nei ritagli di tempo: «la notte», «il più presto possibile», cercando «nella misura in cui la fretta me lo consente, di scriver bene», assicurò al padre. Compose così un’altra serenata in sei movimenti, che rivide e ridusse, per il concerto viennese del 23 marzo 1783 cui interverrà assai compiaciuto l’imperatore Giuseppe II, nei quattro tempi della sinfonia classica. E scrisse «bene», se, quando Leopold gli restituì la partitura, ne restò lui stesso piacevolmente sorpreso (la fretta in cui aveva composto ne aveva rimosso ogni ricordo!). La prima delle cinque sinfonie scritte a Vienna (inclusa la “Praga”), ci introduce alla vitalità frenetica di una musica cittadina e teatrale, in cui l’orchestra è protagonista di una commedia che dal teatro mutua gli elementi fondamentali: carattere spiccato dei personaggi e crepitante mobilità dell’azione. Incardinata in Re maggiore, tonalità dell’ouverture delle Nozze di Figaro, la «folle journée» di questa sinfonia fa sfilare un burrascoso I tempo sorprendentemente monotematico che dissimula sotto l’energia straripante un dotto studio di contrappunto; il ludus delizioso dell’Andante, non meno dotato di spirito, nel senso settecentesco di arguzia, di quanto l’Allegro lo fosse in termini di brio; la solennità cerimoniale ma mai greve del Minuetto, scelto da Mozart tra i due composti per l’originaria serenata; la cordialità di entrambi i temi del Finale (il primo ispirato a un’aria di Osmin dal Ratto del Serraglio), frizzanti e giocosi come s’addice al rondò che corona una sinfonia classica, da eseguirsi, prescrive l’Autore, «il più velocemente possibile».

Raffaele Mellace

Stefano Montanari

direttore d’orchestra

Diplomato in violino e pianoforte affianca all’attività di direttore d’orchestra, quella di solista al violino e al fortepiano. È direttore musicale dell’ensemble barocco “I Bollenti Spiriti” di Lione e ospite regolare di istituzioni quali: La Fenice di Venezia, Opera di Roma, Donizetti di Bergamo, Opéra de Lyon, Arena di Verona, Maggio Musicale Fiorentino, Royal Opera House di Londra, Bolshoj e Tchaikovsky Concert Hall a Mosca, Opera di Stoccarda, Ravenna Festival e molti altri.

Tra gli impegni recenti si citano Agrippina e La clemenza di Tito ad Anversa, Le Nozze di Figaro con la regia di Graham Vick a Roma; Die Lustige Witwe con la regia di Damiano Michieletto e Il Barbiere di Siviglia a Venezia, Iphigenie en Tauride a Stoccarda, Così fan tutte a Londra, Rinaldo con Il Pomo d’Oro in una tournée europea, i Concerti brandeburghesi a Lione.

Direttore del progetto «Jugendspodium – Incontri musicali Dresda-Venezia», insegna alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado e ha pubblicato il “Metodo di violino barocco”. Stefano Montanari è stato nominato ai Grammy Awards per O Solitude con Andreas Scholl (Decca).

Tra gli impegni dei prossimi mesi si ricordano: Die Fledermaus a Stoccarda; Anna Bolena a Ginevra; Le Nozze di Figaro a Lyon; Requiem di Mozart a Valencia; Le Nozze in Villa di Donizetti a Bergamo; Orphée et Euridyce di Berlioz a Zurigo; La Cenerentola e Il Barbiere di Siviglia a Vienna; Die Entführung aus dem Serail e Agrippina a Monaco di Baviera.

Perfetta esecuzione apprezzata dall’esiguo pubblico, ben distanziato, in sala. Ora le permorfances durano solo un ora ed e’ stato soppresso l’intervallo.

“La Natura e il suo valore” Vivaldi

Antonio Vivaldi Le quattro stagioni da Il cimento dell’armonia e dell’invenzione
Concerto n. 1 in mi maggiore op. 8 RV 269 “La primavera”
Concerto n. 2 in sol minore op. 8 RV 315 “L’estate”
Concerto n. 3 in fa maggiore op. 8 RV 293 “L’autunno”
Concerto n. 4 in fa minore op. 8 RV 297 “L’inverno”
Orchestra d’archi I Pomeriggi Musicali
Direttore e violino solista Stefano Montanari

L’intento è celebrare «La natura e il suo valore», come recita il titolo scelto , e non ci potrebbe essere modo migliore di ripartire delle gioiose note della Primavera. Sono visibilmente emozionati i musici, quasi come fossero ad una sorta di secondo debutto. È emozionato anche Stefano Montanari che li dirige con il suo violino e che con il suo abbigliamento da metallaro ricorda quasi un Rob Halford, proprio come Nigel Kennedy – un altro grande anticonformista interprete di Vivaldi: sarà un caso? – ricorda un Johnny Rotten.

Non si può negare, la comprensibile emozione fa apparire un po’ di ruggine: perché ricominciare a suonare dopo tre mesi di forzato silenzio non è facile neanche per dei musicisti rodatissimi, neppure se il repertorio è arcinoto. Il tutto è più della somma delle sue parti, e di tempo per le prove d’ensemble non ce ne deve essere stato molto. Insomma, affiora qua e là qualche imprecisione, qualche intonazione un po’ calante, qualche piccola sbavatura che tuttavia non riesce a scalfire di una virgola il momento magico che tutti i presenti – musicisti, addetti ai lavori, pubblico – stanno aspettando, il momento del ritorno alla musica dal vivo.

Sicché la voglia di suonare predomina, e la catarsi si realizza comunque: Montanari nei momenti di grazia sa emettere dei trilli che sembrano proprio quegli uccellini che Vivaldi aveva inserito in partitura, un gran gusto per gli abbellimenti e un’incessante ricerca dell’effetto migliore ricorrendo a tempi rubati o colori particolari sperimentando con le dinamiche oppure suonando col legno.

Non difetta né di estro né di originalità il violinista e direttore d’orchestra, cosa che magari può scontentare i più filologi e i conservatori della tradizione. Tutti gli altri possono chiudere un occhio (anzi un orecchio) e godere dell’energia che l’ensemble riesce a infondere in queste Stagioni vivaldiane.

Perché forse in questo momento la musica suonata passa non tanto in secondo piano (giammai!), ma un passettino a lato, magari sì: ripartenza è la parola importante, e la musica affluirà spontaneamente. Conta ricominciare. In sala il pubblico decimato, o quasi (un seggiolino occupato ogni due liberi, una fila sì e una no).

Il Silenzio Grande

Teatro Carcano Milano

di Maurizio de Giovanni

Uno spettacolo di Alessandro Gassmann

Con Massimiliano Gallo
Con Stefania Rocca
Monica Nappo
Paola Senatore
Jacopo Sorbini

Scrittore napoletano di fama internazionale, Maurizio de Giovanni, autore di numerosi libri di successo, dalla serie de Il Commissario Ricciardi fino a I bastardi di Pizzofalcone, è per la prima volta autore di un’inedita commedia in due atti.

“L’incontro con Maurizio de Giovanni è stato nella mia carriera recente portatore di novità importanti e di progetti che mi hanno appassionato. In Qualcuno volò sul nido del cuculo il suo adattamento mi ha permesso di portare quella storia che trasuda umanità nell’Italia del 1982, conferendole un’immediatezza ed una riconoscibilità ancora più efficaci per il nostro pubblico, regalando allo spettacolo un successo straordinario.

Ho poi approfondito la mia conoscenza dell’umanità raccontata da de Giovanni interpretando l’ispettore Lojacono nella fortunatissima serie televisiva, giunta alla seconda stagione, de I bastardi di Pizzofalcone.

Quando in una pausa pranzo con Maurizio parlammo de Il silenzio grande, vidi l’idea nascere lì in pochi minuti. Ebbi subito la sensazione che, nelle sue mani, un tema importante come quello dei rapporti familiari, del tempo che passa, del luogo dove le nostre vite scorrono e mutano negli anni, ovvero la casa, avrebbe avuto un’evoluzione emozionante e sorprendente.

Immagino uno spettacolo dove le verità che i protagonisti si dicono, a volte si urlano o si sussurrano, possano fare riconoscere dove, come sempre accade anche nei momenti più drammatici, possano esplodere risate, divertimento, insomma la vita.

Questa è una delle funzioni che può avere il teatro: raccontarci come siamo, potremmo essere o anche quello che saremmo potuti essere. Al suo interno questa storia racchiude anche grandissime sorprese, misteri che solo un grande scrittore di gialli come Maurizio de Giovanni avrebbe saputo maneggiare con questa abilità e che la rendono davvero un piccolo classico contemporaneo.

Per rendere al meglio, il teatro necessita di attori che aderiscano in modo moderno ai personaggi e penso che Massimiliano Gallo, con il quale ho condiviso set e avventure cinematografiche, sia oggi uno degli attori italiani più efficaci e completi. E’ stata per me una grande gioia dirigerlo in un personaggio per lui ideale.”

Alessandro Gassmann

IN MARE APERTO

STAGIONE 2019-20